La strada per il fiume era polverosa. Si percorreva in lambretta, i più fortunati con un fiammante Fantic Caballero 50, con gli amici, e ci pareva di volare. Ognuno di noi ha un paio d’ali, ma solo chi sogna impara a volare. Ma questo lo avrei imparato soltanto con il passare del tempo.

Quando sboccai sull'argine della Merse, il greto mi abbagliò, candido e lucente, con l'ossame dei suoi ciottoli sgretolati dal gelo e dalla canicola. Le stagioni sono sempre più corte di quello che ci immaginiamo. L'argine era stretto, mi toccava camminare a occhi bassi per non mettere i piedi in fallo, e quel luccicare dell'acqua mi stordiva attirandomi. Faceva freddo, molto freddo, e il riverbero del fiume mi accendeva la fronte, un'arida fiamma mi crepitava sul viso e tra i capelli. Mi accorgevo, con una sorta di doloroso piacere, di scivolare a poco a poco giù per il ripido pendio verso il bagliore vivo dell'acqua. Solo allora mi pareva di svegliarmi allora da un lungo sonno. Oggi mi chiedo che significato possa ancora avere il sonno. E ci chiediamo: perché mai si dorme? Forse non tanto e non solo per riposare, quanto per dimenticare.

Ma tutto con il tempo diventa migliore, anche quel gennaio. Chissà dove sono oggi finiti quei tormenti adolescenziali, sicuramente seppelliti da tutti i problemi che la vita ti prospetta ogni giorno. E allora ogni ricordo diventa inevitabilmente piacevole.

Tutto quello che posso dire di un lontano gennaio, assai diverso dal presente, è che il giorno era breve ma felice, le foglie delle canne stormivano nella brezza lieve, il tempo scorreva nelle mie vene con piacevole fuga, ed io mi divertivo a gettar nell'acqua cupa sassolini lucenti, che sollevavano brevi zampilli verdi, dove il sole entrava di traverso con un roseo bagliore. Eravamo abbandonati ad un sogno libero e felice.