Tra le moltissime cause civili e criminali che mi sono pervenute tra le mani, merita senz’altro di essere raccontata quella avvenuta nel 1610 nei pressi di Buonconvento.

Un certo Vincenzo Scarpellini, abitante vicino a Serravalle e precisamente al podere detto “la Magione” (tuttora esistente) ebbe uno scontro con il prete Antonio Bartali, allora cappellano del Canonico Fanti, esercitante nella vicina Pieve di Sprenna.

A suo carico fu aperto un fascicolo dalla giustizia senese in quanto il 23 gennaio di quell’anno “alle hore 23 di domenica prossima passata” nei pressi dell’Osteria della Busa andò contro al detto prete “armato di bastone e indotto da diabolica suggestione gli tirò due bastonate in grave pregiudizio suo e con scandalo pubblico”.

Secondo quanto testimoniato dal parroco la discussione era cominciata già presso la detta osteria e verteva su un mancato pagamento del funerale da parte dello Scarpellini (al quale era morta da poco la moglie) e che secondo don Bartali questi non aveva adempiuto. Sempre secondo il prete lo Scarpellini, mentre lui stava rincasando, sulla strada verso Serravalle, spuntò da un cespuglio facendogli un vero e proprio agguato: “nel passare detta Casa, vi era nascosto detto Vincenzo con un bastone il quale mi tirò una bastonata alla volta della chiorba, e vedendo io il bastone per aria, alzai il braccio per ripararmi e la bastonata m’arrivò nella mano diritta e mi colse all’attaccatura delle dita, come si vede, e dubito che il dito anulare sia smosso; e non havendomi colpito il primo, me ne tirò un’altra, con la quale m’arrivò rasentando l’altra mano con poca offesa, et io l’abbracciai, e presi il bastone. Et in questo comparse il signor Pier Francesco Guglielmi con un servitore che non so chi sia, e ci spartirno, et detto Vincenzo si dette a fuggire….”.

Ma la serata non finì qui perché poco dopo, sempre nella stessa osteria i due contendenti se le diedero di nuovo di santa ragione e stavolta furono separati da Marco Bresci abitante a Moscona (altro podere nei pressi di Sprenna) e il cancelliere Lanci, nobiluomo abitante nei pressi di Ponte d’Arbia.

Secondo lo Scarpellini la cifra del funerale (otto lire in totale), era già stata pagata da suo padre ed il curato Bartali fingeva il contrario per estorcere il dovuto una seconda volta. Non sappiamo chi dei due contendenti avesse ragione, ma ci sorge un dubbio più che legittimo che avesse ragione il “bastonatore”, visto che il cappellano fu coinvolto negli anni successivi in altrettanti processi nel quale non sembra essere stato uno “stinco di santo”.

Nel 1618 infatti un’altra causa coinvolse don Antonio Bartali. Si trattava stavolta di molestie sessuali nei confronti di tal Lisandra, moglie di Pasquino Panciatichi, oste dell’Osteria della Luna a Ponte d’Arbia.

Dopo esser stato più volte rifiutato dalla donna, che in assenza del marito aveva ricevuto numerose avance, l’aveva derisa pubblicamente dentro la macelleria del paese con “parole inhoneste”. Secondo uno dei testimoni, quel Vincenzo Scarpellini che anni prima aveva bastonato il Bartali, il prete si era rivolto al macellaio (tale Zeppi) dicendo “tagliami la coda a me perché a lei non gli piace” e quando la donna si era risentita ed aveva detto al parroco di stare attento con le parole lui l’aveva sfidata dicendo che non aveva paura né dei suoi fratelli, né di suo marito.

Lisandra raccontò tutto al marito e questi, appena il prete si presentò nella sua osteria ebbe a dirgli: “Messer Antonio se non procedi bene, ti insegnerò io a procedere”. Ed egli rispose sfidandolo: “E chi m’insegnerà?”. Rispose l’oste: “Io ti insegnarò si non c’è altri!”. A quel punto l’oste andò a prendere un coltello ed il prete correndogli dietro gli saltò addosso iniziando una colluttazione. Secondo la testimonianza dell’oste “me ne volsi andare in Casa per pigliar qualcosa per difendermi, lui mi corse dietro e m’abbracciò, e ci percossemmo, et io gli detti un pugno nel viso, che credo c’habbi ancor il segno, vi comparse gente, e fummo spartiti, e a lui gli uscì un po’ di sangue da detta percossa nel viso”.

Ancora, nell’aprile del 1619 il reverendo Bartali, stavolta trasferito nella cura di Sant’Albano di Quinciano (vicino a Lucignano d’Arbia) denunciò la sparizione delle elemosine presenti nella sua chiesa. Secondo il suo parere si trattò di un furto con scasso (fu forzata la porta principale della chiesa):

entrati in quella scassorno due Cassette poste nella muraglia a Corni Evangelij, dove son solite conservarsi l'accatti che si fanno pell'Altare della SS.ma Vergine del Carmine, ogni seconda Domenica del mese, dentro la quale verisimilmente poteano essere circa sej lire, altra posta accanto la Sagrestia, dove si conservano l'accatti che si fanno d'altre feste pell'anime del Purgatorio, dentro la quale vi sarà stato circa quattro lire; fu parimente, in sagrestia, scassato un armadio bianco dell'Altare del Carmine, e scassato similmente altra Cassetta grande circa un braccio di noce dove si conservano gl'avanzi dell'elemosine, e depositi di denari che avanzano fatta la Festa del Carmine dove verisimilmente poteano esserci lire trentasette, siccome anco da una Cassettina dove si conservano molte borse fu portato via lo scatolino d'argento, che serve per portare il SS.mo Viatico agl'infermi”.

Mi permetto di dubitare molto sulla buona fede del Bartali. Citerò per tutti quanto rispose il villano Giovan Batta di Bastiano della Vecchia di Buonconvento, testimone in uno dei procedimenti che videro coinvolto il prete che alla domanda se fosse a conoscenza di altri scandali che in passato avessero coinvolto il parroco rispose: “so che altre volte è stato processato, meglio non ci è mai che fare con lui”.