In alcuni scritti si parla di questo fortilizio facendo risalire la sua costruzione all’anno 984 e citando come riferimento un documento contenuto nel fondo del Monastero di S. Eugenio (ad annum), oggi depositato nell’Archivio di Sato di Siena. Purtroppo, ciò non è attendibile per svariati motivi, primo fra tutti quello che non esiste nessun documento in questo fondo riferito all’anno in questione. Ve n’è uno del 994 che però si riferisce alla donazione di beni nell’area di Bibbiano (Pieve di Lornano), zona compresa tra Quercegrossa e Monteriggioni. Un altro valido motivo è che il Monastero in questione, fondato nei pressi di Costafabbri (vicinissimo a Siena) dal gastaldo longobardo Warnefrido e tutt’oggi esistente, non ebbe mai possedimenti nei pressi di Lucignano Val di Chiana. Tra l’altro le carte più antiche di questo fondo sono relative ad un altro monastero, quello di S. Salvatore all’Isola (Monteriggioni) al quale successivamente fu unito e si riferiscono esclusivamente a quell’area geografica e a quei luoghi , troppo lontani dal Calcione. Infine, ci sono altri documenti che indicano che questo castello fu eretto dalla famiglia senese dei Tolomei a metà del XIV secolo.

Più precisamente fu Regolino di Puccio Guelfo Tolomei a costruirlo contemporaneamente con il vicino fortilizio di Palazzo (che potrebbe oggi corrispondere a La Mandria). Il documento citato, assai importante, è quello con il quale Diego Tolomei, figlio di Regolino, donò al comune di Firenze questi due castelli nel 1385 (maggio) in accomandigia: “Deghus natus quondam Regolini Domini Puccii Guelfo de Tolomeis de Senis, quod in vestro Comitatu Aretii dictus Regolino costrui & aedificari fecit de suo proprio quamdam Fortilitiam vulgariter appellatam Calcione & domum aliam appellatam il palatio”.

Dai dati che ci fornisce questo atto ritengo che il padre di Diego Tolomei abbia costruito questi due fortilizi intorno al 1340 e che la proprietà fosse passata alla sua morte al figlio Diego. Sul perché quest’ultimo li donasse in accomandigia al Comune di Firenze non è facile da comprendere, ma occorre indagare su quel travagliato periodo storico quando Arezzo era guidata da Pietro Tarlati detto Saccone ed era in rotta con Perugia e Firenze. Nel 1335 il Tarlati aveva sconfitto i perugini a Cortona e questi, per vendicarsi, andarono a danneggiare Arezzo (Historia di O. Malavolti) e “diedero guasto” a Lucignano Val di Chiana bruciando quel borgo (forse la località ancora oggi chiamata “casa bruciata” si riferisce proprio a quell’occasione) . In quegli anni reggeva tra Firenze e Siena una pace decennale ed Arezzo si ritrovò sola a dover combattere contemporaneamente contro Perugia e Firenze. Vista l’impossibilità di Piero Tarlati (Saccone) di difendere la sua città egli fu costretto, accettando il consiglio proprio di Regolino di Guccio Guelfo dei Tolomei, a cedere la città ai fiorentini. Questa resa fu seguita nel 1337 da un trattato di pace tra i fiorentini e gli aretini che indicarono come arbitri di questo giuramento Naddo de’ Cenni de’ Rucellai ed lo stesso Regolino Tolomei. Potrebbe essere questo il motivo della costruzione dei due fortilizi, pagati di tasca propria dal Tolomei e posti vicino al confine (di allora) del Comune di Firenze, Siena e Arezzo (Istorie Fiorentine di S. Ammirato).

Nonostante i due castelli fossero a disposizione del Comune di Firenze essi rimasero come da accordi alla famiglia Tolomei (fino a che la linea maschile non si fosse estinta) e furono da loro amministrati come una libera signoria.

Intorno al 1470-1480 il Calcione con tutti i suoi possedimenti fu venduto dai Tolomei a Ludovico di Campofregoso, nobile genovese che fu anche Doge della Repubblica di Genova dal 1447 al 1450 e che lottò per decenni contro il cugino Pietro per la supremazia sulla città ligure. La vita di questo personaggio che fu anche Signore di Sarzana, è pullulata da scontri militari, incarichi diplomatici, lotte intestine ed accordi con città e liberi comuni alternando alleanze con chiunque di volta in volta favorisse i suoi interessi.

E così fece anche con i fiorentini che mandarono in suo aiuto (e della madre Caterina Ordelaffi) più volte le loro truppe negli anni 1454-1455 e ai quali finse di vendere nel 1468 Sarzana, la fortezza di Sarzanello e Castelnuovo di Magra, scatenando forti attriti tra i Medici e la Repubblica di Genova.

Riappropriatosi però di Sarzana (approfittando di alcuni disordini scoppiati a Firenze), Ludovico Campofregoso, con il figlio Agostino, nell’ottobre 1480 fu costretto a difendersi dall’esercito fiorentino. Fu allora che per ritorsione la signoria di Firenze lo condannò come “ribelle” e gli confiscò la Contea del Calcione che aveva legittimamente acquistato dai Tolomei di Siena. Pochi anni più tardi (settembre 1483) la stessa tenuta fu venduta dai fiorentini al nobile Luigi di Angelo Lotteringhi della Stufa.

Anche questo documento, pubblicato interamente nella Istoria Fiorentina di Marchionne di Coppo, è assai importante in quanto ci descrive tutti i beni della Contea del Calcione con i relativi toponimi, alcuni dei quali ancora sopravvivono. L’acquisto comprendeva infatti la chiesa di San Pietro al Calcione, il fortilizio, otto poderi, case, un mulino detto “di Regolino” (probabilmente costruito da Regolino Tolomei) e terre “bonis lavorativi”, vignate, olivate, sode e boscate fino al fiume Vescina che divideva la curia di detto luogo da quella di Monte San Savino. Nel contratto compaiono anche il torrente Foenna, la strada che va a Gargonza, all’Abbazia di Farneta, a Lucignano, la località di Belvedere, Poggio Rinaldini ecc.. Da questo momento in poi la tenuta del Calcione rimarrà sempre alla famiglia fiorentina dei della Stufa i cui discendenti ancora oggi la possiedono (famiglia Pianetti Lotteringhi della Stufa).

Nel 1632 la Contea del Calcione ottenne il titolo di Marchesato dal Granduca Ferdinando II che volle in questo modo ricompensare i figli di Prinzivalle Lotteringhi della Stufa (n. 1484 - m. 1561), tra i quali spiccava l’abate Pandolfo, priore dell’Ordine di Santo Stefano, per i loro servigi. Tale privilegio venne riconfermato anche nei secoli successivi da Cosimo III, Giovan Gastone I, Francesco III e Francesco Leopoldo.