Le forche per la giustizia furono rizzate nell’anno 1304 fuori da Porta Romana, mezzo miglio al di là dell’Osteria della Coroncina sul poggio detto del Corposanto, in località Pecorile. Queste forche, secondo Don Merlotti, erano situate, andando da Siena verso Colle Malamerenda, sulla destra, mentre nell’altro poggetto a sinistra era la Chiesa di “S. Stefano a Pecorile”. La località di Pecorile, ancora oggi individuabile nel gruppo di case lungo la Cassia, nei pressi del Ristorante “La Capannina” è testimoniata fin dalla seconda metà del 1100. Attualmente, un podere sulla destra, oltrepassato il locale predetto, porta ancora questo nome e alla fine dell’Ottocento appartenne allo scrittore senese Federigo Tozzi. La chiesa prima citata scomparve intorno al 1650 e a partire da metà Settecento, per ricordare che fu luogo di culto, vi fu posta una croce che è rimasta visibile fino a pochi anni fa.

Citando il Merlotti: tolte le forche dal Corpo Santo di Pecorile, la chiesa di S. Stefano, che fino allora aveva servito a dar sepoltura ai miseri giustiziati, si mantenne in essere fino all’anno 1650, dopo che ne venne deciso l’abbattimento in seguito al trasferimento.

I materiali di risulta di questa chiesa vennero riadoperati per quella vicina di Colle Malamerenda alla quale era stata annessa.

Quando agli inizi del Trecento si decise di istituire in questo luogo la sede dell’estrema giustizia, S. Stefano a Pecorile era già uno dei Comunelli delle Masse del Terzo di San Martino di Siena e lo rimase almeno fino al 1777. Ma la storia di Pecorile è ancora più antica. Oltre a vari contratti del 1200, come ad esempio quello nel quale nel 1239, un certo Giunta di Bandino, dona a Cacciaconte (Rettore dell’Ospedale Santa Maria della Scala di Siena) un pezzo di terra nella sopradetta località, notizie ancora più antiche (1100) ci raccontano della chiesa di Santo Stefano. Una Bolla di Papa Clemente III del 1189 ad esempio, nomina S. Stefano a Pecorile, tra le 17 chiese che facevano capo alla Pieve a Bozzone. La fama di questa località tuttavia, nonostante abbia avuto un’antica chiesa e sia stata sede di una comunità della Repubblica senese, rimase per sempre legata alle sue “Forche” ed alle esecuzioni capitali.

I condannati a morte erano di solito condotti (a piedi) in Piazza del Mercato Vecchio e da qui alla Costa dei Malcontenti, dove li aspettava un carro tirato da cavalli, che, passando per Porta Giustizia e Val di Montone, li conduceva a S. Stefano a Pecorile. Nel piccolo cimitero di questa chiesetta, dopo l’avvenuta morte, venivano seppelliti con l’ausilio e l’intervento della “Compagnia della Buona Morte”, pagata a spese del Comune di Siena e da confratelli caritatevoli.

Essendo Pecorile un po’ troppo fuori città, a partire dal 1431 il Governo della Repubblica decise di giustiziare una parte dei condannati in luogo più vicino, individuato appena fuori da Porta Giustizia, dove ordinò che fosse innalzata una chiesa.

L’idea era quella di adempiere in questo luogo l’estrema giustizia esclusivamente per i “forestieri” e di seppellirli nella chiesa di San Luca, situata nella pendice del poggio che va verso il convento dei Servi di Maria. Ma a fine 1400 le esecuzioni capitali a Pecorile, nonostante la loro diminuzione, continuarono, come ci dimostrano alcune pergamene delle confraternite che si occupavano della sepoltura dei condannati:

1480 : Iacomo di Piero Barbini, di quello di Firenze fu impiccato a dì 3 d’Ottobre 1480 a Pecorile; 1485 : Giovanni di Incorno da Firenze, maestro di statere, fu impiccato a dì 9 di Marzo, a Pecorile; 1485:…di…, di quello di Firenze, fu impiccato a dì…di Giugno a Pecorile e impiccò el Bargello; 1485: Galgano di….Frate stato di San Domenico, fu impiccato a dì … di Giugno a Pecorile: impiccò el Bargello; 1490: Giovanni…da Colle fu impiccato a Pecorile, per ladro.

L’evento più famoso che ci parla delle forche di Pecorile però, risale all’anno 1358, ai tempi della guerra tra Siena e Perugia e ce lo narra il cronista Neri di Donato: 

E così li Perugini con loro gente e sforzo cavalcaro sul Contado di Siena ardendo e guastando ciò che potevano, e pigliando prigioni, e uccideano, e facevano grande danno. E quando i Perugini trovavano i casamenti de’ Tolomei (di proprietà dei Tolomei), tutti l’ardevano e guastavano, perché erano loro nemici. E così cavalcoro infino a Buonconvento, e con loro erano quelli di Sassoferrato; e così poi trapassarono (superarono) Buonconvento, come da’ Fiorentini furo messi al punto (come concordato con i Fiorentini), e vennero infino alle Forche di Pecorile presso a Siena a un miglio, e ine posarono il campo, e guastarono le dette Forche, le quali catene erano a traverso su le more (colonne a base quadrata in genere a mattoni) delle Forche in luogo di pertiche , e ine s’ appiccava i malfattori; e così li scorridori vennero infino appresso le Porte di Siena. E veggendo questo li Sanesi, si levoro a romore, e armossi tutto il Popolo, e sonaro le campane di Siena a stormo. I Perugini, sentendo l’apparecchiamento de’ Sanesi, dubitoro e levarsi, e dicevano uno dettato, come: non fu ne patti di Maestro Orinale, che le campane dovessero sonare. Imperocchè era Capitano del Popolo uno Medico di Siena, che avea nome Messer Agnolo di Ser Chelotto. I Sanesi rispondevano e dicevano: non fu nei patti di Misser Pottevento, che voi non passaste Buonconvento. A questo punto i Perugini si ritirarono con alcuni prigionieri e portarono per trofeo quelle catene che avevano tolto alle Forche predette, per poi appenderle fuori dalle finestre del loro palazzo di Perugia.