Leo: Zia, la prof di lettere ci ha chiesto di intervistare un parente anziano sul Natale di tanti anni fa. Io ho pensato a te, che sei vecchia.

Zia Marghe: Grazie del pensiero! Che cosa vuoi sapere?

Leo: Come festeggiavi il Natale quando eri piccini voi. Se facevi l’albero di Natale, il presepio, cosa vi portava Babbo Natale, queste cose qui…

Zia Marghe: Il discorso è complesso, fammi una domanda alla volta e io ti rispondo per quanto mi è possibile.Ti anticipo che ho il ricordo di soli due giorni di Natale, uno di quando avevo circa cinque anni e uno di quando ne avevo nove o dieci.

Leo: Raccontami il primo intanto.

Zia Marghe: Eravamo a pranzo in cucina dove c’era la stufa accesa e faceva molto caldo. Io, nell’attesa di mangiare e per fare la spiritosa, entravo a corsa in salotto e scappavo a volo facendo brrr per il freddo che c’era. Sai, in quei tempi l’unica stanza riscaldata era la cucina. Nelle altre stanze si gelava letteralmente. Rivedo una tavolata di persone, noi quattro di famiglia, zio e zia e la cugina Clemente con i tre figli grandi seduti dall’altra parte del tavolo. C’è anche Eugenia, una donna povera, povera, che veniva invitata a mangiare da noi tutte le volte che era festa. Davanti a me c’è Elio che mi fa i versacci con gli occhi accigliati e la bocca storta per farmi paura, ma io rido con una mano davanti alla bocca. Mi hanno detto e ridetto che a tavola non si ride e non si mastica a bocca aperta, specialmente se ci sono altre persone e io mi copro! La mamma mette due crostini neri nel piatto di ogni commensale e per ultima serve me, perché sono la più piccina.

Leo: Perché ti serviva per ultima? La mia mamma mi serve per primo. Io sono l’ultimo nato in famiglia.

Zia Marghe: Allora si usava così e nessuno si sarebbe azzardato a protestare. Prima venivano serviti gli ospiti, poi gli uomini, le donne e per ultimo i bambini. Ricordo i tagliatini in brodo, una pasta fatta in casa piuttosto lunga e io che non riuscivo a farla stare nel cucchiaio, mi ricadeva da tutte le parti. Elio, davanti a me, mi fece vedere come prenderla con la forchetta e metterla nel cucchiaio. Il pranzo fu lungo e c’era un gran chiacchierio, io stavo gustando un uccelletto arrosto e scansavo tutti gli ossicini, ma ci ricavavo poco. Qualcuno mi disse di mangiare tutto e di lasciare solo il becco e io, priva degli incisivi ormai infilati nei buchi del muro, riuscii comunque a sgranocchiare tutto, salvo sputare di nascosto la salvia e buttarla sotto il tavolo. Tanto sotto c’era il cane che faceva piazza pulita. Per la lunga durata del pranzo mi annoiavo, ma non dicevo niente e restavo seduta ascoltando, senza capire niente di quello che dicevano i grandi e ripetevo dentro di me le parole buffe tipo "sciarbellein e ciorcil". La mamma il giorno prima aveva fatto i cavallucci e ne mangiammo uno ciascuno, più uno spicchietto di panforte. Poi ci fu la sorpresa per me: i mandarini portati dai parenti. Io non li avevo mai visti ed ero curiosa di assaggiarli. Mi piacquero tantissimo.

Leo: Ma Babbo Natale non ti aveva portato niente?

Zia Marghe: Meglio! Non esisteva mica Babbo Natale. Fino agli anni ’60, mai sentito nominare. I regali li portava la Befana, il 6 gennaio. Il giorno di Natale si andava alla Messa, si pranzava tutti insieme e nel pomeriggio si andava alle Funzioni.

Leo: Che erano le Funzioni?

Zia Marghe: Intorno alle quattro di pomeriggio, le donne e i ragazzi si recavano di nuovo in chiesa per dire il rosario e poi il prete prendeva il Santissimo, lo copriva con un manto dorato e ci benediceva. Quelle erano le Funzioni, e sono molti anni che non vengono più fatte. Usciti di chiesa per noi ragazzi, quella era festa grande: corse e grida e giochi.

Leo: L’albero di Natale lo facevi?

Zia Marghe: Anche quello non esisteva, era in uso solamente nei paesi del nord. Invece nelle chiese veniva allestito un piccolo presepe che noi ammiravamo a lungo. Quando ebbi nove anni mi regalarono alcune statuine di gesso e anche io feci il presepe. Fu allestito in salotto, sul pavimento con lo sfondo di grossi rami di corbezzolo e alloro, tanta borraccina che si mantenne fresca (con quel freddo!) fino alla Befana.

Leo: Raccontami allora della Befana.

Zia Marghe: Per noi bambini era la festa più attesa. La sera prima preparavamo un fastellino di legnetti e uno di fieno. Il primo serviva per far accendere il fuoco alla Befana che arrivava infreddolita. Il secondo serviva per far mangiare il suo ciuchino.Prima di andare a dormire la mamma ci dava una calza piuttosto lunga e si attaccava al camino, così la Befana in nottata l’avrebbe riempita. La mattina ci si svegliava presto e via di corsa a staccare la calza piena di doni. Quella che ricordo meglio conteneva un bambolottino di celluloide nudo, un libretto illustrato con gli abitanti del mare, un anellino di ferro smaltato, una mela e un arancio, una cartatina di pasticchine dolci colorate e un pezzo di carbone vero, non come quello di ora che è di zucchero! Io avevo già capito che la Befana era tutta una messa in scena, ma stetti zitta, facendo la finta credulona, fino agli otto anni. La scena mi piaceva ugualmente e quella era l’unica occasione per ricevere regali.

Leo: Allora era un Natale poco divertente il vostro, senza regali, senza addobbi, senza niente.

Zia Marghe: Non è vero, si aspettava con ansia per stare con i parenti, si andava tutti in gruppo anche alla Messa cantata di mezzanotte e nel pomeriggio si giocava a tombola e dopo cena "a panforte".

Leo: Che vuol dire "giocare a panforte"?

Zia Marghe: Si trattava di usare un panforte ben incartato e lanciarlo, (stando sulla porta del salotto) sulla tavola di cucina in modo che ci restasse sopra, ma il più vicino possibile alla sponda. Era molto divertente, ricordo che il mio babbo era il più accanito, mentre la mia mamma una volta fece "capanna" fra gli applausi di tutti.

Leo: Allora si può giocare anche noi per Natale...

Zia Marghe: Certo.Quest’anno lo riporteremo in uso.

Leo: E dell’altro Natale, di quello dei nove anni, che ricordi hai?

Zia Marghe: Fu una notte magica e indimenticabile. Aveva nevicato tanto durante il giorno e la notte era illuminata dalla luna piena. C’era ovunque un candore affascinante e strano, mai visto! Intorno alle dieci arrivarono a casa nostra diverse persone che abitavano nei dintorni, ben imbacuccate e con alti scarponi, pronti per andare alla Messa di mezzanotte. La chiesa distava un paio di chilometri, e io non stavo più nella pelle per uscire in quel magico candore. Non ho mai più vissuto una magia così. Partimmo tutti insieme, felici e rumorosi. Non sembrava notte con tutto quel biancore, ma nemmeno giorno! La neve scricchiolava sotto gli scarponi e con la luce della luna mandava dei bagliori incredibili come se ci fossero dei brillanti sparsi qua e là. Una ragazza del gruppo si gettò a braccia e gambe aperte sulla neve e si rialzò ridendo mentre indicava la sua impronta impressa nella neve. Fu un attimo e tante donne la imitarono ridendo con grida di gioia. Naturalmente anche io mi sdraiai incurante del freddo e dei rimproveri, che non vennero! Sentimmo le campane della chiesa con un suono ovattato e allungammo il passo per arrivare in tempo alla nascita di Gesù. Sai Leo, nelle cartoline, nei libri, nei quadri spesso il Natale è rappresentato con la neve, però qui nel senese tutt’al più viene una spolveratina. Ma quel Natale del 1947 mi è rimasto veramente nel cuore!

Leo: Grazie zia, a Natale ricordati del panforte!