L’intero complesso fortificato della zona di Camollia, verso nord,  con ben tre porte in successione, aveva per i governanti senesi lo scopo principale di prevenire i pericoli militari: di qui gli accrescimenti nel tempo e la continua manutenzione; a ciò si aggiungeva il desiderio di sgomentare i nemici e allo stesso tempo di stupire i visitatori, come quelli immortalati in questa  briosa tavoletta di Biccherna dell’anno 1498, mentre entrano dall’Antiporto e si guardano attorno ammirati. La raffigurazione costituisce una delle prime rappresentazioni pittoriche  di questa zona, la seconda in ordine di tempo preceduta da un’immagine realizzata nel 1450 da Nanni di Pietro, fratello di Lorenzo detto il Vecchietta, dedicata all’accoglienza di un sovrano, probabilmente Sigismondo di Lussemburgo, omaggiato nel suo ingresso a Siena da un corteo che sta uscendo appunto dall’Antiporto (Barnes Foundation, Merion, Pennysilvania; vedi Alberto Cornice in Iconografia di Siena, 2006, p. 372). Nella tavoletta di Biccherna del 1498 si scorge anche il Torrazzo di mezzo, seppure di scorcio; si notano inoltre, partendo da destra, due costruzioni circostanti: l’oratorio con l’ospedaletto di Sant’Antonio, dove i frati Antoniani curavano il “fuoco sacro” (in seguito oratorio di San Bernardino al Prato), e l’oratorio del Santo Sepolcro con la facciatina quattrocentesca, quello in trasformazione in quel periodo  (oggi non più esistente); in lontananza le mura rosate e ancora il duomo con la caratteristica zebratura, infine una torre, forse quella del Mangia, mentre alcuni alberi altissimi conferiscono profondità alla scena. Un’immagine di una città forte e ben difesa, bella e “pietosa”  con le sue chiese e ospedaletti. 

Nel catalogo del 1984  (Le Biccherne. Tavole dipinte delle magistrature senesi. Secoli XIII-XVIII, a cura di L. Borgia, E. Carli, M.A. Ceppari, U. Morandi, P. Sinibaldi e C. Zarrilli, pp. 26 e 198) la tavoletta era riferita da Enzo Carli a un pittore non identificato influenzato da Pietro di  Francesco Orioli   (1458-1496) e prossimo a Girolamo di Benevenuto (1470-1524); una possibile attribuzione è a Bernardino Fungai (1460-1516). Il soggetto presenta varie difficoltà  interpretative: è stato  identificato in passato con l’arrivo di Carlo VIII di Francia (a Siena nel 1494 e di nuovo nel 1495) e dalla critica recente con la venuta degli ambasciatori di qualche Stato italiano o straniero.  Personalmente in un articolo del 2010 (in “Il Chiasso. Rivista di cultura e letteratura”, n. 11, pp. 17-25) ho ipotizzato che la scena rappresentata si riferisca all’arrivo  dell’ambasciatore  veneziano Alvise Sagundino, giunto a Siena il 30 agosto del 1498, con diploma munito di bolla plumbea del doge Agostino Barbadico che lo definiva come il “nostro sapiente e fedelissimo segretario”. Scopo dell’ambasciatore, come testimoniano i documenti che ho pubblicato, distogliere la Balìa guidata da Pandolfo Petrucci dalla politica filo-fiorentina, convincendola  ad allearsi invece con la Serenissima allora in lotta con la Lega italica (le alleate Firenze e Milano); missione però fallita perché Pandolfo, abile diplomatico, riuscì a non sbilanciarsi fra i contendenti. Il nutrito gruppo, cavalieri armati e fanti a piedi, è caratterizzato da un insolito abbigliamento ‘turchesco’, compresi i copricapo e le barbe allora inusuali in Italia; l’aspetto  sembra dunque rimandare alle origini negropontine dell’ambasciatore veneziano e dei suoi accompagnatori, alcuni caratterizzati anche da  tratti somatici esotici.  Alvise Sagundino (1443-1506), cresciuto alla scuola letteraria e diplomatica del padre Niccolò detto l’Euboico, aveva passato vari anni a Costantinopoli e nei Balcani al servizio di Venezia. Tra l’altro lo stile “orientaleggiante” era di moda tra coloro che avevano frequentato, come lui,  le corti musulmane, assumendone abiti e consuetudini. Nella tavoletta l’ambasciatore veneziano potrebbe essere l’uomo elegante, al centro del corteo sul vivace cavallo nero nell’atto di attraversare l’Antiporto,  contegnoso quale il suo ruolo richiedeva, mentre i suoi accompagnatori sono effigiati con la testa rovesciata all’indietro per la sorpresa di vedere una città così ben difesa, bella e accogliente.

Nella parte inferiore del dipinto gli stemmi seppure in parte abrasi – riconoscibili solo quelli Vescovi, Francesconi e Tolomei – e l’iscrizione rimandano a coloro che ricoprirono la carica di ufficiali di Biccherna per il 1498: Agostino d’Antonio di Luca del Vescovo, camarlengo per tutto l’anno e quindi principale committente dell’opera; Filippo di Memmo Francesconi, Girolamo d’Orazio  di Pasquino Telani, Antonio di Biagio di Guido Tolomei e Tommaso di maestro Francesco Nini, quattro provveditori per il primo semestre; Carmignolo di Francesco Trecerchi, Bartolomeo d’Antonio di Guelfo, Francio di Niccolò di Pietro di Lenzo, Buonsignore di messer Guidantonio Piccolomini, quattro provveditori per il secondo semestre; infine per l’intero anno lo scrittore Bartolomeo di Giacomo Buonaventuri. Tutti personaggi senz’altro in linea con la politica e le aspirazioni di Pandolfo Petrucci, che in quell’anno si stava avviando a sconfiggere il partito interno a lui avverso capeggiato da  suo suocero Niccolò Borghesi e da Leonardo Bellanti, e a divenire di fatto il magnifico signore di Siena.       

 

Nella foto: Archivio di Stato di Siena, Collezione delle tavolette di Biccherna, n. 46, Priva di attribuzione (Bernardino Fungai?), “L’arrivo di una ambasceria all’Antiporto di Camollia”, 1498