La città di Pandolfo Petrucci

Presento insieme tre tavolette, due appartenenti all’ufficio della Gabella e la terza a quello della Biccherna, realizzate in un lasso di tempo che va 1487 al 1489; due sono assegnate dagli storici dell’arte a Guidoccio Cozzarelli e la terza è attribuita o allo stesso Guidoccio o a Matteo di Giovanni. Il tema centrale è il ritorno a Siena dei Noveschi capeggiati da Pandolfo Petrucci, di conseguenza la presa di potere, con un vero e proprio colpo di Stato, da parte di questo gruppo. Qualche anno dopo Pandolfo diverrà di fatto il magnifico signore di Siena, amato dai sostenitori, odiato come tiranno dagli avversari (tra cui il cardinale di Siena Francesco Todeschini Piccolomini), splendido mecenate e anche spietato assassino nell’anno 1500 del proprio suocero Niccolò Borghesi, dopo che i loro destini politici si erano divisi.

Nella parte superiore della prima tavoletta appartenente all’ufficio della Gabella, datata gennaio-dicembre 1487, è raffigurata la Vergine, soave, mentre sta conducendo dalle acque perigliose in un porto sicuro una barca con gli stemmi di Siena (la Balzana e il Leone, emblema del Popolo): l’allegoria sta a significare che il ritorno dei Noveschi a Siena nel luglio 1487 era avvenuto sotto l’egida della Madonna, regina della città, e che la “barca” della Repubblica era così rientrata felicemente in porto. L’approdo riparato e sicuro avviene nella pittura davanti a una delle porte di ingresso della città; accanto è raffigurato uno scorcio delle mura; dietro si affastellano torri e palazzi però scarsamente riconoscibili.

Archivio di Stato di Siena, collezione delle tavolette di Biccherna, n. 44, Guidoccio Cozzarelli, “La Vergine guida in acque tranquille la barca della Repubblica”, 1487

 

Ben riconoscibile invece la raffigurazione di Siena nella tavoletta, datata gennaio-dicembre 1488, vera e propria “cronaca dipinta” del vittorioso ingresso in città dei Noveschi nella notte fra il 21 e il 22 luglio 1487.

Londra, The British Library (legato testamentario di H. Davis), Guidoccio Cozzarelli, “Il ritorno dei Noveschi a Siena”, 1488

 

Questa tavoletta a differenza delle altre presentate in questa piccola rassegna non è conservata all’Archivio di Stato di Siena, ma a Londra, alla British Library, dove è pervenuta nel 1977 per legato di H. Davis, dopo che era stata nella collezione Fontange di Montpellier e nella collezione Figdor di Vienna. Secondo il racconto dei cronisti, ripreso nella pittura, un piccolo gruppo di fuorusciti capeggiato da Pandolfo Petrucci penetrò, all’alba, in città dalle mura nella zona di Vallepiatta e, raggiunta dall’interno la porta di Fontebranda, l’aprì consentendo così a una schiera di una cinquantina di armati di fare il proprio ingresso. Lo scorcio della città – mura e palazzi - è efficacemente delineato con il tradizionale colore rosato del mattone: due tratti discendenti di mura merlate raggiungono la porta che si erge con il suo torrione medievale, con la tettoia a copertura dei merli e con gli sportelli lignei aperti dai congiurati per far passare pedoni e cavalieri, tutti armati e decisi a conquistare la scena politica cittadina. La porta di Fontebranda mostra in tutta evidenza i grandi stemmi del Comune e del Popolo, mentre oggi è marcata soltanto dal trigramma di San Bernardino. Dentro e fuori le mura si intravedono case, palazzi, tetti e tettoie; sulla sinistra della porta Fontebranda, si nota la facciata intonacata di chiaro su cui spicca una rossa tettoia. In due ‘oculi’, che sovrastano a sinistra e a destra la scena rappresentata, mostrano la loro ‘approvazione’ a quanto avvenuto la Vergine con il Bambino, consueta protettrice di Siena, e Santa Maria Maddalena, riconoscibile dal rosso mantello e dai biondi capelli sciolti. Alla Maddalena il Petrucci era particolarmente devoto, essendo avvenuto il suo ‘felice rientro’ il 22 luglio, ricorrenza della Santa. Bionde e belle sia la Madonna sia la Maddalena, come sono spesso – ha scritto Alberto Cornice in Iconografia di Siena, 2006, pp. 360-361 - le donne di Guidoccio, e come è anche la bellissima immagine della Santa sulla copertina di un registro del Concistoro del 1497, quando Pandolfo era signore di Siena (Archivio di Stato di Siena, tavoletta di Biccherna, n. 89).

Archivio di Stato di Siena, collezione delle tavolette di Biccherna, n.  89, Guidoccio Cozzarelli (?), “La Maddalena e la Lupa senese”, 1497 (Concistoro, 2318)

 

Uno scorcio delle mura rosate e una merlata porta della città – anche se non identificabile con sicurezza – insieme a un palazzo rinascimentale visibile sullo sfondo sono rappresentati nella tavoletta commissionata dagli ufficiali di Gabella del successivo anno 1489.

Archivio di Stato di Siena, collezione delle tavolette di Biccherna, n. 45, Guidoccio Cozzarelli o Matteo di Giovanni, “Il camarlengo e gli esecutori di Gabella, in abito di penitenza, pregano la Vergine di entrare in Siena”, 1489

 

Quell’anno la situazione non era per niente quieta: la presenza dei Noveschi e le conseguenti riforme del sistema di governo, con la creazione di una Balìa formata soltanto dai sostenitori di Pandolfo Petrucci, non avevano infatti portato l’auspicata pace sociale, perché gli oppositori, a loro volta messi al bando, tentavano congiure e minacciavano di morte Pandolfo, suo fratello Iacoppo e i loro fedeli. Gli ufficiali di Gabella, preoccupati perché Siena era dilaniata dalle fazioni in lotta, si sono fatti raffigurare nella pittura mentre, in penitenziale abito bianco, pregano in ginocchio la Vergine con il Bambino, protettrice di Siena, di volere fare il suo ingresso nella città per pacificarla: evidentemente non vedevano altra soluzione che il ricorso all’Advocata Senensium.

Nella parte inferiore delle tre tavolette compaiono, nella consueta iconografia delle “biccherne”, sia gli stemmi di famiglia degli ufficiali in carica, dei notai e degli scrittori (in maggiore evidenza quelli del camerlengo e dello scrittore, più piccoli quelli dei notai), sia l’iscrizione con il periodo di riferimento e i nomi.

Per il 1487 l’ufficio della Gabella fu amministrato da Urbano di Giovanni Salvi (camarlengo per l’intero anno), Francesco di messer Paolo Gherardi, Giovanni di Mariano Finetti, Meo di Taviani Taviani, Guglielmo di Goro del Taia (esecutori nel primo semestre), Bartolomeo di Giovanni Pecci, Eugenio di ser Giovanni Biadaioli, Girolamo di Battista Taviani, Pieranselmo di Gabrioccio Tolomei (esecutori per il secondo semestre), Francio di Niccolò di Pietro Lenzi (scrittore per l’intero anno), Ambrogio di Antonio Maestrelli (notaio nel primo semestre) e Bartolo Nuccini (notaio nel secondo semestre).

Per il 1488 l’ufficio della Biccherna fu amministrato da Domenico di Giovanni di messer Lorenzo Rocchi (camarlengo per l’intero anno), Antonio di Giovanni Benucci, Niccolò di Mariano Orlandini, Giovanni di Cesario Cesari, Francesco di Goro Catasti (quattro provveditori per il primo semestre), Lorenzo di Andrea Beccafumi, Mino di Niccolò Trecerchi, Domenico di Guccio Menghini, Niccolò Orlandini (quattro provveditori per il secondo semestre), Giovanni di Checco Colombini (scrittore per l’intero anno). Gli stemmi Catasti e Colombini e quelli (più piccoli a lato dell’iscrizione) dei due notai sono abrasi.

Per il 1489 l’ufficio della Gabella fu amministrato da Antonio di Damiano Damiani (camarlengo per l’intero anno), Bartolomeo di Battista Agazzari, Cino di Bartolomeo Vanniccini, Bartolomeo di Nastoccio Saracini, Giovanni di Pietro Montanini (esecutori nel primo semestre), Giovanni di ser Lazzaro Benedetti, Francesco di Ruggerotto Ugurgieri, messer Pietro di Francesco Zuccantini procuratore, Marco di Pietro Lotti (esecutori per il secondo semestre), Dianello di Gheri Bulgarini (scrittore per l’intero anno), Antonio Campani (notaio nel primo semestre) e Vincenzo di Mattio Ottieri (notaio nel secondo semestre).

In genere il committente della pittura era il camarlengo, cioè colui che amministrava nell’ufficio della Gabella e in quello della Biccherna le entrate e le uscite, quindi nelle tre tavolette in esame Urbano di Giovanni Salvi, Domenico di Giovanni di messer Lorenzo Rocchi, Antonio di Damiano Damiani, tutti e tre legati all’astro nascente Pandolfo Petrucci, di cui avevano voluto immortalare le ‘gesta’ nelle tavolette.