L’olio di palma è un olio vegetale che si ottiene spremendo la polpa del frutto delle palme da olio. Quando invece si spreme il seme del frutto delle palme da olio, si ottiene l’olio di palmisto.

L’olio di palma raffinato è l’olio vegetale alimentare più consumato al mondo perché è economico e, conferendo cremosità ai prodotti, si presta a molti impieghi. Si trova in moltissimi alimenti (snack, pane, merendine e biscotti), ma anche nei prodotti per l’igiene personale (detergenti, saponi, etc.) e persino in oggetti di metallo, plastica, gomma, così come in processi per la produzione di tessuti, vernici, carta e componenti elettronici. L’olio di palma viene ampiamente utilizzato anche per la produzione di biodiesel.

L’Indonesia e la Malesia sono i principali produttori di questo richiestissimo olio. Più di recente la produzione di olio di palma si è estesa anche all’Africa (Cameroon, Liberia, Tanzania).

Qual è il problema?

La crescente richiesta di olio di palma ha conferito molto potere all’industria indonesiana dell’olio di palma, favorendo l’espansione, in molti casi indiscriminata, delle piantagioni di palma da olio a discapito delle foreste torbiere, della biodiversità che esse ospitano e delle popolazioni locali.

Le foreste torbiere sono ecosistemi che accumulano nel suolo la torba, una sostanza organica costituita da materiale vegetale in stato decomposizione e saturo d’acqua. In questo ecosistema, l’acqua, la torba e la vegetazione sono strettamente connesse. Se anche uno solo di questi elementi viene rimosso, o il suo bilanciamento alterato, la natura della torbiera cambia radicalmente. Le torbiere sono ricche di biodiversità e ospitano specie animali in via di estinzione, come l’orango, la tigre e il rinoceronte di Sumatra.

Secondo i dati ufficiali del Governo indonesiano, tra il 1990 e il 2015 sono stati rasi al solo 24 milioni di ettari di foresta pluviale. Il rapporto di Greenpeace “Final countdown” (settembre 2018), rivela che dalla fine del 2015 altri 130.000 ettari di foresta sono stati distrutti, il 40% dei quali in Papua, una delle regioni più ricche di biodiversità del Pianeta.

Sono 193 le specie in grave pericolo di estinzione, minacciate e vulnerabili a causa della produzione indiscriminata di olio di palma. In soli 16 anni (1999 – 2015) abbiamo perso la metà degli oranghi del Borneo e più di tre quarti del parco nazionale di Tesso Nilo, che ospita tigri, oranghi ed elefanti, è stato trasformato in piantagioni illegali di palma da olio.

Gli incendi (impatti su biodiversità, salute e clima)

Per far spazio alla palma da olio, il terreno delle torbiere viene drenato scavando un reticolo di canali usati prima per il trasporto dei tronchi di valore commerciale rimossi dalla foresta e poi per far defluire l’acqua e prosciugare il suolo. La torba residua viene quindi bruciata, nonostante questa pratica sia vietata. La distruzione delle torbiere da parte dell’industria dell’olio di palma e del settore della carta è ormai riconosciuta come la causa principale degli incendi che ogni anno colpiscono le foreste dell’Indonesia.

Uno studio dell’Università di Harvard e dell’Università della Columbia stima che, a causa della crisi ambientale e sanitaria verificatasi nel 2015 per colpa di questi incendi, in tutto il Sud-Est asiatico ci siano state circa 100 mila morti premature.  Inoltre, quando le torbiere vengono bruciate rilasciano enormi quantità di gas  serra.

L’espansione di queste piantagioni ha poi un impatto pesante sulle popolazioni locali che vengono private delle loro terre. I piccoli agricoltori subiscono spesso pressioni e minacce per vendere o affittare i loro appezzamenti di terreno al governo o a grandi multinazionali, trovandosi da un giorno all’altro senza casa né mezzi di sussistenza. La vendita e l’acquisto dei terreni avvengono generalmente in condizioni di scarsa trasparenza, sfruttando la debolezza delle istituzioni politiche locali o attraverso la corruzione. Molto spesso, inoltre, le condizioni di chi lavora nelle piantagioni di palma da olio sono drammatiche, come documentato anche nel rapporto di Amnesty International “THE GREAT PALM OIL SCANDAL” (2016).

D’altro canto, è importante sottolineare che, tra tutte le piante da olio, la palma è la coltura più efficiente in termini di resa per unità di superficie coltivata e l’olio di palma può essere prodotto responsabilmente.

Da anni, Greenpeace lavora per spezzare il legame tra la produzione dell’olio di palma da un lato e la deforestazione, l’accaparramento delle terre (land grabbing) e la negazione dei diritti di lavoratori e comunità locali dall’altro.

Tra il 2010 e il 2015 numerose multinazionali che producono, commercializzano e utilizzano olio di palma si sono impegnate ad eliminare dalla propria catena di approvvigionamento l’olio di palma prodotto a discapito delle foreste, dei diritti dei lavoratori e delle comunità locali. Ma non hanno mantenuto le promesse e la deforestazione continua.

Nonostante ciò, il boicottaggio di prodotti contenenti l’olio di palma non è la soluzione: il rischio che l’olio di palma venga sostituito dallo sfruttamento intensivo di altre colture oleaginose è alto e gli impatti ambientali potrebbero essere addirittura peggiori. È invece indispensabile che i produttori di olio di palma e le multinazionali che lo vendono ed utilizzano, si assumano le proprie responsabilità e agiscano concretamente entro il 2020 per eliminare dal mercato l’olio di palma che distrugge le foreste e viola i diritti umani.

 

(Fonte: Greenpeace)