Nel Medioevo e nell’età moderna erano figure usuali: erano poveri, ma si vergognavano a chiedere l’elemosina, e per questo li definivano “poveri vergognosi”. Era gente che aveva goduto di uno status dignitoso, poi una malattia, una disgrazia, un fallimento, una crisi familiare, la perdita del lavoro li avevano, da un giorno all’altro, fatti precipitare sotto la soglia della povertà. Perché non dovessero sentirsi umiliati, chi gli portava il soccorso lo faceva con il cappuccio sulla faccia.

Oggi, sta succedendo lo stesso: chiedo informazioni all’amico Massimo Bianchi, che da anni lavora come volontario nel campo dell’assistenza alle persone in povertà o, comunque, in stato di disagio, e le risposte sono agghiaccianti.

Alla mensa della Caritas le presenze sono triplicate con l’epidemia, il fermo-produzione e il fermo-attività. I buoni spesa, elargiti a famiglie bisognose, sono anch’essi saliti vertiginosamente di numero. Chi sono quelli che ne hanno necessità perché sennò non mettono insieme il pranzo con la cena? Se pensate alle persone che siamo stati abituati a vedere far la fila a San Girolamo, immigrati, gente di colore, siete fuori rotta. Loro ci sono sempre, ovviamente, ma l’attesa di un aiuto ora la condividono con gente di Siena, con gente di Contrada.

La differenza è che quest’ultimi si vergognano a far sapere che si trovano in questa situazione, e le Contrade distribuiscono aiuti in segreto, dal momento che loro, magari con un lavoro, una professione, un mestiere, a ritirare il pasto che pure gli sarebbe indispensabile, non ci vanno perché fino a ieri non avrebbero mai pensato di doversi ridurre a questo. E allora le Contrade fanno quel che fanno anche le parrocchie (alcune delle quali sono diventate hub di smistamento di sacchetti del supermercato con le offerte di alimenti e generi di prima necessità lasciate nei carrelli solidali) che, in segreto e con discrezione, portano aiuto a gente della quale fa parte anche chi ha l’ I726 nel codice fiscale.

Che, sia ben chiaro, non fa nessuna differenza rispetto a chi è nato, poniamo, nel Ghana o in Siria o in Mali, ma rende l’idea di una città che non è più l’isola felice che, di fronte agli immigrati, poteva prendersi il lusso, in alternativa, di disprezzarli o di compatirli e aiutarli. L’abbiamo fatta la prima (infame) e la seconda (civile) cosa pensando che queste traversìe riguardassero solo gli altri e non noi.
Ora gli altri siamo diventati anche noi.

Chiedono aiuto, mi conferma Massimo Bianchi, persone che sono indebitate fino agli occhi e che, tuttavia, vengono da situazioni sociali dignitose, fornite di pensioni accettabili, ma che le contingenze hanno scaraventato sotto la linea di galleggiamento. E vengono a chiedere cose usuali, ma che loro non si possono permettere: uno è venuto a sentire se poteva trovare un seggiolino per il bambino per l’auto, perché non aveva i soldi per poterlo comprare. Era un senese.
Uno è andato a chiedere se potevano dargli una sabbiera per il gatto, perché, per lui, era una spesa che lo metteva in difficoltà. Era un contradaiolo.

Siena conosce di nuovo i poveri vergognosi. E per fortuna ci sono persone che, calandosi metaforicamente il cappuccio sulla faccia, un cappuccio fatto di stretta riservatezza, vanno a portargli aiuto. Lodevoli e degne di ammirazione. Ma se deleghiamo solo a loro e alle strutture di volontariato che rappresentano, se aspettiamo che della situazione che sta travolgendo la città si facciano carico Caritas, terzo settore, parrocchie, associazioni e Contrade, ognuna individualmente come può e come sa, mi permetto di dubitare che ne usciremo fuori. Non ce la possono fare, da soli, nemmeno gli enti locali: lo ha detto il referente toscano dell’ANCI, non uno qualunque.

Tanta, troppa gente nella nostra città sta scivolando nella povertà (o c’è già dentro fino al collo): abbiamo, anche a Siena (di nuovo) una “questione dei poveri”, cioè una cosa che ha caratterizzato la storia della nostra comunità, come quella di tutta Italia, fin dentro al Novecento. La credevamo affidata alle pagine dei libri di storia: invece è di nuovo cronaca. La si può affrontare seriamente solo con progetti condivisi, coordinamenti, sinergie: non in ordine sparso. E alla svelta, perché chi non ha nemmeno i soldi per comprare una sabbiera per il micio di casa non ha tanto tempo a disposizione per aspettare. Anzi, non ne ha più per niente.