No, non sarà tutto come prima. All’indomani del “liberi tutti” che seguirà al periodo di reclusione forzata imposto dall’epidemia, non ricominceremo da dove eravamo rimasti. Nemmeno a Siena. Nemmeno nel nostro amato e dorato mondo delle Contrade e del Palio. La coralità del nostro vivere di senesi ne risentirà. E per un motivo ben comprensibile: fino a quando non sarà trovato un vaccino in grado di immunizzare il mondo nei confronti del coronavirus, le forme epidemiche si ripeteranno. Magari non nella dimensione pandemica attuale, ma in quella epidemica sì, e ci sarà da non sottovalutarlo.

Come facciamo a saperlo? Semplice: possiamo ipotizzare una simulazione con quello che è già avvenuto nella storia. Con la famosa (evocatissima di questi tempi) Peste Nera del 1348. Quando finì il contagio che si portò sotto terra circa un terzo della popolazione d’Europa, la peste non sparì. Rimase in forma endemica e, via via, riscoppiò a intervalli più o meno ravvicinati. Magari non ebbe quella devastante vastità del ’48, ma ricomparve. E fece i suoi danni.

Oggi possiamo pensare in una risposta della chimica (che allora non c’era) in grado di debellare in tempi più rapidi il coronavirus, ma non possiamo aspettarci che nel giro di qualche settimana tutto torni uguale. Nemmeno nel giro di qualche mese. E, dunque, ancora per molto tempo ci vorrà prudenza, massima attenzione alle occasioni di contagio. Basta questa considerazione per far capire che uno degli elementi fondamentali del nostro essere senesi e contradaioli (la contiguità, la vicinanza e il contatto corporeo) ne risentirà. In quale forma si potrà tornare a vivere le occasioni di incontro in Contrada? Potremo ancora stare – fitti come penne di nana – a cena per le strade del rione? Potremo andare dietro il cavallo spalla a spalla con altre centinaia di persone? Potremo abbracciarci per esultare se si è vinto e per consolarci e piangere se si è perso?

E soprattutto: potremo ancora riempire Piazza per veder correre un Palio?

Sono domande inquietanti, che evocano uno scenario distopico. Ma sono domande che non possiamo far finta che non ci riguardino.

Intanto, per il momento, si sta verificando quello che sempre abbiamo saputo: non ci sarà (almeno non nelle date usuali, ma a parere di chi scrive non ci sarà proprio) il Palio nel 2020, ma c’è la Contrada. Che si fa sentire in forma di vicinanza con l’assistenza alle necessità degli anziani; con le iniziative per aiutare a sopportare la forzata reclusione. È quanto la Contrada ha fatto durante le guerre: non c’era il Palio (che senza Contrada non avrebbe senso), ma c’era la Contrada (che poteva sopravvivere senza il Palio). Sta accadendo lo stesso, e lo stesso accadrà anche in seguito (un seguito che ci si augura il più breve possibile), ma attenzione ad una (non secondaria) variante. Fra il 1940 e il 1945 la Contrada era, ancora, la gente che abitava in un rione. Oggi, quella gente vive l’esito di una diaspora cominciata decenni e decenni fa e il rione è ormai un ologramma. Che ritrova corpo, identità, vita e costruita sociabilità nelle occasioni di incontro contradaiole e paliesche. Ma che, se vengono meno queste, che fine farà?

È da qui che bisogna ripartire. Immaginare, inventare, un rione luogo  non virtuale, non fittizio, anche se cambieranno (come cambieranno) i modi di vivere la Contrada.

A pensarci bene, la sfida a trovare un vaccino, al confronto, è roba da ragazzi.