Molto si è scritto sugli ebrei senesi a partire dai tragici avvenimenti del “Viva Maria” (giugno 1799), che portarono al saccheggio del Ghetto e all’uccisione di diciotto persone, tra le quali anche donne e bambini, fino alla deportazione nei campi di concentramento ad opera dei nazifascisti durante la seconda guerra mondiale. Poco si sa della loro condizione nei secoli precedenti e specialmente nel periodo che va dalla caduta della Repubblica di Siena fino a quello napoleonico, culminato appunto nella strage sopra citata. Un periodo fatto di luci e ombre (soprattutto ombre), nel quale nacque il tristemente famoso Ghetto di Siena.

Agli inizi del XVI° secolo, quando Siena era ancora Stato, gli ebrei erano abbastanza tollerati all’interno del tessuto sociale e, anche se non potevano partecipare completamente alla vita politica della città, erano comunque ben inseriti ed avevano voce in capitolo. Alcuni di loro erano dediti al commercio ed altri svolgevano sia la marcatura che il banco, quindi pure il prestito di denaro, altri erano eccellenti umanisti o medici, tanto che potevano insegnare nella nostra Università (Studio).   

Intorno al 1540 lo stesso Papa Paolo III (1534-1549) aveva raccomandato al rettore dello Studio Senese che Isaac di Abramo di Viterbo fosse ammesso alla laurea in medicina ed infatti la cosa andò in porto perché qualche anno dopo troviamo che Isaac veniva dichiarato Doctor et Magister con permesso e licenza di curare anche malati cristiani.

Pochi anni più tardi però le cose per gli ebrei senesi cominciarono a peggiorare ed alcune fazioni cristiane ultra oltranziste si macchiarono di attentati contro di loro approfittando della perturbata situazione politica della città.

Nel 1547 le cose si attenuarono con l’arrivo a Siena dell’Ambasciatore di Spagna Diego Hurtado de Mendoza, che perlomeno riportò in città un minimo d’ordine, ma non riuscì a sopire del tutto il sentimento antisemita di alcune frange di popolazione.

Come ebbe a scrivere il da Rieti, membro di una delle famiglie ebree più facoltose di Siena in proposito degli spagnoli: “Forze di prepotenti, esperti nell’arte della guerra, spadaccini armati sono comparsi davanti a noi qui a Siena e nei dintorni a centinaia e migliaia…. siamo mal visti dai signori e dal popolo che brama i nostri averi

Nel 1554, durante l’assedio di Siena, questa ricchissima famiglia fu tra le poche che riuscì (con l’esborso di moltissimi denari) ad ottenere un salvacondotto per lasciare la città.

Con la fine della Repubblica e l’annessione medicea le cose non migliorarono, anzi, come notiamo dai diversi processi senesi come quello del 1568 ai coniugi Orlandini (Achille e Ursula) che “permettevano che la loro serva frequentasse ebrei” o quello del febbraio 1569 contro Giovanni Antonio detto Marguttino, garzone d’albergo, reo di “aver giocato a carte con un ebreo”.

Nel 1569, quando gli ebrei furono espulsi da tutti gli Stati della Chiesa, in molti cercarono rifugio nello stato toscano e anche a Siena dove, nonostante alcuni loro banchieri si fossero offerti di dare asilo ai profughi, il granduca Francesco de’ Medici pose un secco divieto.

L’unica forma di accettazione era riservata a coloro che avessero rifiutato l’ebraismo e si fossero battezzati “purché non infettiamo li Stati nostri con la peste loro” (cit. Francesco de’ Medici).

Del medesimo anno alcuni processi senesi come quello a Girolamo di Giovanni Nuti e Vitale di Isacco (ebreo) per aver giocato a carte insieme e a Giovanni di Francesco Puri per “aver giocato a Trionfo con un ebreo”.

Nel 1570 sembra che addirittura cinque donne ebree furono bruciate con l’accusa di stregoneria e un anno dopo, nel settembre 1571, Cosimo de’ Medici, così come aveva fatto poco prima per Firenze, abrogò tutte le licenze bancarie agli ebrei senesi che operavano fuori dalla città: “per gli ebrei che non prestino e non stieno, se non in Siena”.

Nel febbraio 1572 una commissione fu incaricata di individuare nella nostra città un quartiere dove confinare gli ebrei (“serraglio”) e fu scelto un borgo al tempo assai malfamato detto Salicotto.

Ogni ebreo doveva portare un segno di riconoscimento e precisamente una berretta gialla per gli uomini e una manica per le donne.

Fu così che in quel medesimo anno venne arrestato nei pressi di Piazza del Campo tale Isacco Giacobbe Sermoneta (ebreo) che andava in giro “senza portare il segnio”.

Ogni maschio di età superiore ai quindici anni doveva infine pagare uno scudo d’oro ogni sei mesi. La tassa andava in parte a coprire il salario di colui che ogni giorno era addetto ad aprire e chiudere la porta del ghetto (in ebraico chazer). Tale serraglio o ghetto, nel 1573 risultava ormai ultimato, alla luce dell’ultima ordinanza del granduca: “Che tutti li ebrei di qualunque età, sesso o conditione si sieno, ancor che privilegiati, che si trovano per abitare nel dominio di Siena, debbino fra il termine dto loro altra volta partirsi d’esso dominio et esser venuti con li loro figlioli et famiglia ad abitare permanentemente nel Ghetto della città di Siena; nel qual luogo solo, e non altrove, possino e debbino tener le loro botteghe et esercitare i loro negotii traffici, sinagoghe et altri affari loro permessi”.

La reclusione degli ebrei senesi peggiorò notevolmente il tenore di vita degli stessi tanto che nel 1574 il Governatore fu informato dai Quattro di Balìa della loro condizione di estrema indigenza.

Un altro decreto del 1575 ribadiva quanto già deciso tre anni prima e cioè che gli ebrei senesi dovessero portare sull’abito o cappello un segno di color giallo, pena Scudi 60 ed inoltre che nessuno di loro poteva abitare fuori dal Ghetto.

La situazione andò migliorando solo una trentina di anni dopo (1608), quando il granduca Ferdinando I pubblicò un bando nel quale si proibiva di offenderli “con parole e fatti”.

Al tempo di Mattias de’ Medici, che fu Governatore tra il 1629 e il 1667, gli ebrei di Siena poterono avere minori restrizioni ed a molti di loro vennero concessi dei salvacondotti reali e personali per svolgere liberamente la loro professione dentro e fuori le mura.

Ma nonostante il maggior permissivismo di Mattias l’antisemitismo non era ancora sopito, soprattutto tra i membri del clero senese che lo fomentavano. Risale al 1636 il processo a tale prete Camillo che aveva preso a “sassate nel capo” Leone d’Agnolo d’Ascoli, ebreo e al 1641 quello contro il prete sinalunghese Francesco Cesarini che aveva ucciso l’ebreo Salomone Pelagrilli. 

Nel 1653 invece fu processato l’ebreo senese Salomone Gallichi che aveva rubato e occultato le chiavi del portone del ghetto sottraendole furtivamente al guardiano, un certo Pietro d’Agnolo detto il Pauroso.

Dopo il periodo di Mattias de’ Medici però le acque tornarono ad agitarsi ed aumentarono gli episodi di intolleranza verso di loro. Ogni occasione fu buona per denigrarli, punirli e umiliarli e ciò è facilmente riscontrabile dall’aumento vertiginoso dei processi a loro carico.

Nel 1671 ad esempio, Alessandro Stefani (famiglio di Corte) mandò a processo gli ebrei Asdrubale Pelagrilli, Jacobbe Funaro, Lazzaro Orvieti, Angelo Malchi, Elia Gallichi, Agnolo Castelnuovo e Raffaello suo padre, David Suares perché uscirono (a dir suo) fuori dal Ghetto prima della fine della Processione del Corpus Domini.

Sempre lo stesso famiglio nel 1676 fece condannare un certo Giuseppe ed altri ebrei senesi con l’accusa di aver rapito presso la Locanda della Posta di Lucignano d’Arbia due giovani ebrei che stavano andando a Roma per battezzarsi e farsi cristiani.

Nel 1677 (ribadito poi nel 1683) venne proibito ai Cristiani di stare a servizio di Ebrei nelle loro case e botteghe ed agli ebrei di aver balie Cristiane sotto gravissime pene.

1679 vennero inasprite le condanne per chi si macchiasse dicommercio carnale” tra ebrei e cristiani. La pena per le donne si estese fino alla galera e alla frusta.

Tra il 1685 e il 1686 una serie di processi condannarono gli ebrei Mosè Gallichi, Gabriello Baroccio e Mosè Davit Blanes per aver trasgredito il bando delle Feste e per aver tenuto la bottega aperta di domenica. 

Nell’ottobre del 1690 l’ebreo Jsach Gallichi detto Fastidio, venne condannato a Scudi 50 d’oro per “essere fermo in Piazza durante la Messa alla Cappella” e, sempre nello stesso anno finirono a processo gli ebrei Salomone e Giuseppe Gallichi, Sabbato Gallichi, Agnolo di Daniello Nixim e Dattaro Borghi per aver trasgredito il bando delle Feste. Stesse cose negli anni successivi per trasgressioni relative al non rispetto delle festività cristiane.

Nel 1696 la popolazione ebraica senese si era accresciuta fino a contare circa 408 unità.

Fino ad allora avevano sopperito alla mancanza di libertà di movimento utilizzando dei passaggi sotterranei che dalle loro abitazioni penetravano nei “bottini” e si prolungavano oltre la cinta muraria della città, in parte corrompendo gli addetti alla sorveglianza. Ad alcuni ebrei privilegiati però, erano state concesse alcune porte di servizio per poter svolgere regolarmente i loro traffici anche in orari più elastici, ma questa consuetudine aveva aumentato l’introduzione in città di molte merci “a nero” in barba a tasse e gabelle. Fu così che nel 1698 un nuovo decreto obbligò che di sera tutte le porte del ghetto, comprese quelle riservate ai privilegiati (erano per lo più in Rialto), dovessero essere serrate. 

Nel 1699 alcuni dei maggiori esponenti ebraici senesi furono imprigionati proprio per aver trasgredito tali regolamenti ma furono scarcerati grazie all’intervento del cardinale Francesco Maria de’ Medici, che fu governatore di Siena dal 1683 al 1711 e che non voleva inimicarsi quel gruppo di facoltosi. Se per i pochi ebrei ricchi lo stato chiudeva volentieri un occhio e tollerava, per il resto della gente comune non era proprio così e purtroppo le discriminazioni nei loro confronti continuarono.