Leader ghibellino per antonomasia, Provenzano Salvani, deve la sua notorietà più all'XI canto del Purgatorio dantesco che alla reale conoscenza storica.

La sua folgorante carriera politica non può essere decontestualizzata dal ruolo di assoluta preminenza che la sua famiglia, i Salvani, esercita nel contesto politico filo-svevo del Comune di Siena. La prima parte della sua vita (nasce intorno al 1220?) ci  sfugge del tutto ed è solo a partire dal 1247 che le notizie su di lui si fanno via via  più fitte. E' Provveditore della magistratura finanziaria della Biccherna nel 1247 e poi lo troviamo costantemente nel maggio consiglio cittadino (il Consiglio Generale) almeno a partire da quando incomincia la documentazione relativa a questa istituzione, il 1249. Quello che è certo è che, fino alla vigilia di Montaperti, Provenzano riveste pressoché tutti gli incarichi pubblici e, soprattutto, che, a quanto si capisce dalla documentazione scritta che lo riguarda, la sua voce è molto ascoltata nelle istanze politiche cittadine.

(Palazzo Pubblico Siena, Amos Cassioli, Provenzano Salvani chiede l'elemosina nel Campo (1873)

 

Provenzano è, in città, l'uomo di Manfredi, prima della celebre battaglia di Montaperti serve al sovrano per garantire l'ancoraggio della città alla causa sveva e Manfredi serve a Provenzano per garantirsi uno status di primazia nel contesto delle istituzioni senesi e, anche dopo Montaperti, resterà il garante della politica senese filo-manfrediana. Ed ecco che arriviamo all'accusa di Dante: “Quelli è, rispuose, Provenzan Salvani; ed è qui perché fu presuntuoso a recar Siena tutta a le sue mani”: la più o meno reale egemonia di Provenzano su Siena è da leggersi proprio a seguito del rapporto con il sovrano e con il potere che gli concede tanto da arrivare alla "presunzione" più alta il volersi insignorire di Siena. E Dante gli risparmia l'Inferno solo per il supremo atto di generosità che Provenzano compie: si umilia davanti ai senesi nel Campo per chiedere l'elemosina e riscattare l'amico preso prigioniero da Carlo d'Angiò (Mino di Mino Pagliaresi?). Ma nonostante la fama, Provenzano Salvani, morirà nella battaglia di Colle Val d'Elsa nel 1269, quando i ghibellini senesi vengono sconfitti da Firenze e dalla coalizione guelfa e la colpa, dicono le cronache, "fu el tradimento ordinato da misere Provenzano, el quale s'intese co Franceschi [gli angioini]”. Ora Provenzano non tradì mai e la figura di quest’uomo, forse la più importante all’interno del movimento ghibellino, stenta a trovare una propria concretezza storica al di là degli eventi legati alle battaglie di Montaperti e di Colle Val d’Elsa. Molto più vivida risulta, invece, la raffigurazione che di lui ci ha trasmesso la tradizione letteraria, a partire da Dante, così come quella tramandata dalla memoria locale, in cui il capo del ghibellinismo senese ha seguito un percorso di mitizzazione analogo all’immagine, sempre più forzata, di una Siena ghibellina quasi per sempre, che ritrova in Provenzano una sorta di personificazione. Questo processo è avvenuto a scapito della sua figura reale ed i primi segnali di un allontanamento di Provenzano dai confini della dimensione storica sono già riscontrabili nelle narrazioni proposte dalle cronache circa la sua morte. La cronachistica senese ha tramandato versioni del tutto fantastiche della battaglia valdelsana e della morte di Provenzano, accusato, appunto, di avere tradito i suoi concittadini cosa che, in realtà, appare decisamente improbabile anche se segna il primo passaggio del suo personaggio verso un contesto più leggendario che reale. D'altra parte, i suoi detrattori non esitano, dopo la sua morte, ad infangarne la memoria, mettendo in giro la leggenda nera (della quale lo stesso Dante non ha alcuna notizia) del demonio-profeta che Provenzano si porta dietro in una bottiglia il quale, da bugiardo come non può non essere il Nemico dell'uomo, gli profetizza: giocando sull’inganno delle virgole: “vincerai no morrai o vincerai no, morrai”.

Ed infatti a Colle Provenzano muore e l’Anonimo cronachista senese che gli attribuisce la sconfitta scrive che “gli tagliarono la testa”  e poi  “messer Chavolino [Tolomei ] fece porre la testa [del presunto traditore, n.d.r.] sulla punta di una lancia e la portò a Siena per seminare il terrore tra i traditori”.

Insomma, caduto il ghibellinismo, la città che gli ha dato i natali si appresta di buon grado a rinnegarlo e a farne oggetto di damnatio memoriae e Provenzano, che per difendere la causa di Siena, del ghibellinismo, del partito anti-papale e filo-svevo perse la vita, concluse la sua parabola terrena come uno scomodo, imbarazzante e impresentabile impiccio per la sua città (o, comunque, per una parte di essa) ormai guelfa, filo-fiorentina, filo-papale e filo-angioina.