“È arrivata la bufera, è arrivato il temporale”. Renato Rascel la scrisse nel 1939, nel momento in cui si stavano levando, già ben percepibili, i venti di guerra. E oggi (domenica, mentre scriviamo) sono arrivati la bufera e il temporale sotto forma di DPCM. Niente che non fosse atteso, sia chiaro: le indiscrezioni dei giorni scorsi avevano fatto capire verso dove si stava andando, e il testo, reso noto da poche ore, conferma nella sostanza quel che ci si aspettava.

Si individuano nuove vittime del Covid-19, intese non come vite umane (e ci sono anche quelle, purtroppo, e di giorno in giorno il loro numero cresce) quanto come attività.

La normazione degli orari di bar, ristoranti e affini è il colpo di mannaia su questa categoria. Alle 18 si cala la saracinesca e si spengono i fornelli. Negli orari di apertura, non più di quattro commensali a tavolo (di più – ma resta indeterminato fino a quanti: il vecchio numero di 6? – se si appartiene allo stesso nucleo familiare, e suggeriamo che chi va al ristorante farà bene a passare prima da Salicotto, all’Ufficio d’Anagrafe, per farsi rilasciare lo stato di famiglia).

Ora, se si considera che l’attività maggiore di questi esercizi (i ristoranti, soprattutto) è serale (non siamo più in stagione turistica) tanto valeva dirgli di chiudere del tutto. In una città come Siena, nella quale gli esercizi di ristorazione rappresentano una voce importante nel quadro delle attività economiche, questo equivale ad una sberla micidiale per un bel numero di persone. Il Governo ha promesso il varo di ammortizzatori, certo, ma non crediamo di poter essere tacciati di populismo se affermiamo che, nel nostro Paese, l’attuazione di questi strumenti non viaggia esattamente ad alta velocità. Lo sappiamo, no?, che ad oggi qualche cassintegrato di marzo 2020 non ha ancora riscosso il dovuto. Anche se si attueranno (sul come e quando, il DCPM è sommario, per non dire che è vago ed elusivo) provvedimenti per tutelare queste categorie, è da non farsi troppo l’illusione che saranno tempestivi (non per fare la solita stucchevole tiritera esterofila, che è anche ridicola, ma in altri Paesi gli aiuti in casi analoghi sono stati immediati: sì, lo so che l’erba del vicino è sempre più verde, ma a volte è così davvero). E nel frattempo? Come campano proprietari e dipendenti?

Il Comune, nel caso dei precedenti provvedimenti, ha dimostrato buona volontà nei confronti di questi lavoratori concedendo gratuitamente l’uso del suolo pubblico (aperta veloce parentesi: sì, ok, ottimo, ma, per favore, cerchiamo di trovare un giusto modo; i tavolini davanti alla Loggia di Mercanzia non faranno un bel vedere, ma si reggono, mentre oscenità inguardabili come quel trabiccolo da Ikea in fondo alla Costarella sono cazzotti negli occhi. Chiusa la parentesi), ma forse, adesso, dovrà fare altrettanto nei confronti di tutta questa categoria di esercenti. Per quelli che non necessitano di suolo, ma che necessiteranno inevitabilmente di aiuto, è un’idea scombiccherata quella di intervenire alleggerendoli di qualche contributo dovuto alle casse comunali?

E poi, quell’altra cosa che si temeva (ne abbiamo accennato proprio in questa sede una settimana fa). L’altra vittima sono le Contrade. Con la chiusura alle 18, le attività sociali si fermano (né si può pensare ad altro tipo di eventi, perché anch’essi sono vietati) e fermandosi spengono l’interruttore della Società come elemento aggregante: ora ciascuno la Contrada se la dovrà vivere nel suo privato e solo un inguaribile ottimista potrà pensare che questo non provochi una risacca devastante.

Ho, per brevità, omesso di accennare alle altre vittime: chiusi cinema, teatri e simili. Altri lavoratori a casa. Chiuse discoteche, palestre, centri sportivi e quant’altro. Altri stipendi che si fermano. E via dicendo.

E le prospettive inquietano. Queste disposizioni valgono per un mesetto, ma credo che siamo abbastanza lucidi, tutti, da capire che il Governo non se l’è sentita, già da ora, di dire apertis verbis che il Covid-19 si mangerà il Natale e le feste di passaggio d’anno. No, in questo momento non interessano i pranzi e le cene che non ci saranno, né gli infami trenini di Capodanno che non si faranno, ma interessa la diminuzione del volume di affari che il naufragio del periodo festivo più importante dell’anno porterà con sé in termini di mancato introito per una fascia di negozianti ed esercenti da far paura.

E’ arrivata la bufera. E il peggio è che, anziché un acquazzone violento, questo sembra l’inizio della stagione dei monsoni.

Se un giorno qualcuno ci avesse detto che avremmo ripianto con angoscia la mancanza di quella pacchiana americanata d’imitazione che è la pagliacciata di halloween, gli avremmo riso in faccia dandogli di pazzo. E invece…