Saranno i nefasti giorni pandemici, questo senso ovattato delle cose, del tempo che passa, ma viene da dire che il mio Natale non ci sia più.

Era quello del freddo intenso nella piccola casa di via del Paradiso, era il nonno che faceva la voce del Ceppo che portava i regali, della Messa cristallizzata dalla notte nella cripta di San Domenico. Qualche anno dopo le feste con i primi regali fra amici e amiche, larrivo inaspettato di quei dischi meravigliosi che hanno colorato unintera stagione, il primo stereo che mi ero comprato con i risparmi di un anno. Che suonava magico come oggi non fanno tutti gli apparecchi esoterici che ci possiamo permettere. E chissà perché.

Ma che Siena era al tempo? Un microcosmo fatto di persone che si conoscevano, ma anche di strette vie dove i giovani talvolta si sentivano soffocare, poco liberi di andare dove volevano. Ci siamo passati un po tutti.

Ed il Natale sembra sempre arrivare ad offrirci una severa resa dei conti. Ed i ricordi ancora si affollano.

Qualche anno dopo si preparavano i giorni di festa nella piccola radio di via Peragna, quando si registravano le sigle per le festività e qualcuno immancabilmente scuoteva la testa dicendo che erano uguali a quelle dell'anno prima. Erano i Natali della speranza di un domani che è passato come l'abete messo in cantina ogni 7 gennaio e poi dimenticato.

Ieri sera guardavo il cielo e c'era solo una luna sfacciata che mi voleva dire qualcosa, ma non aveva le parole per spiegarmi questo banale presente che domani puntualmente rimpiangeremo. Mai adoperare il passato per inutili rimpianti che non ci portano da nessuna parte: ricordiamoci sempre che questa preziosa memoria, oltre che offrirla ai giovani senza nessuna retorica dei tempi migliori, è un incrollabile ponte verso la libertà.