Nel 2010 accadde nei pressi di Asciano un disastro annunciato. L’antichissima abbazia di Rofeno, subì il crollo del suo millenario campanile che già da mesi si era distaccato dal corpo della chiesa, e nonostante vari appelli di associazioni non si intervenne nel modo dovuto.

 

Ultime immagini del Campanile di Rofeno prima del crollo (2010)

 

LA STORIA DELL’ABBAZIA

Non sappiamo esattamente l’anno di fondazione, ma è certo che esisteva già nell’anno di nostro signore 1031, quando un documento ci ricorda che sia la chiesa che il monastero furono costruiti contemporaneamente da una nobile famiglia, forse imparentata addirittura con i Carolingi o come dicono alcuni con i Cacciaconti di Asciano. La pergamena fu redatta nel quinto anno dell’Impero di Corrado II il Salico e ci racconta che alcuni membri direttamente discendenti dalla famiglia fondatrice (Raginerio, Gerardo, Bernardo e Ildibrandino) donarono con questo atto, in onore della Vergine e dei Santi Cristofano e Clemente, tutti i beni che la loro famiglia aveva assegnato alla detta Chiesa. L’atto fu rogato proprio nella chiesa adiacente al Monastero.

Nel 1060, da un’altra pergamena, si evince che Rofeno fosse una struttura fortificata. Secondo questo testo infatti, tale prete Winizo, si fece confermare l’eredità di alcuni beni che gli aveva lasciato la famiglia Maizi proprio presso il castello detto di Rofeno.

Nel marzo 1138 troviamo addirittura la Bolla Papale di Innocenzo II, diretta ad Alberto, Abate del Monastero di S. Maria e Cristoforo (stavolta detto di Rofena), con la quale prese sotto la sua protezione sia l’abbazia che i suoi beni posti nella corte di Montebernardi, di Montemartini (con la sua chiesa), la chiesa di S. Martino, quella di S. Andrea, la Corte di Melanino, la chiesa di S. Biagio di Ilceno, di S. Maria, di Montecamerino, di S. Andrea a Monteagutaro (Montacuto Joseppi, oggi Montacuto).

Nel 1157 ancora una Bolla Papale, stavolta di Adriano IV, che ricalcava quella del suo predecessore.

Del 1160 è un’altra pergamena ci ricorda che il Monastero era detto ancora di “Santa Maria e Cristoforo di Rofeno” e che, grazie al lascito di tali Orlando, Bernardo e Guazzolino del defunto Benzitto, i frati entrarono in possesso di alcuni poderi e castelletti non lontano da questa località (Cipollona, Monteberardi, Montemartini e Vescona).

Numerosi documenti relativi a questa abbazia negli anni 1185, 1217,1228, 1230, 1232, 1234, 1236, 1237, 1244, 1247 ci danno un’idea di quanto importante fosse Rofeno.  

Nel 1375 questo monastero passò sotto l’ordine di Monteoliveto Maggiore e vi rimase fino al 1780, dopo di che, una volta trasformato in Pieve, gli olivetani ne mantennero il patronato, ma la cura delle anime fu data alla chiesa di S. Giovanni in Vescona.

Il periodo di maggiore sviluppo per l’abbazia sembra comunque essere stato quello della seconda metà del 1300. A quei tempi la Badia di Rofeno poteva contare su ben 35 poderi (unità poderali), di cui almeno 25 con fabbricato. Ricordiamo tra questi Castelrenieri, Rigoli di Sotto, Rigoli di Sopra, Santo, Cipollona, Sarchianello.

 

ARTE E ARCHITETTURA

La chiesa ha tipologie architettoniche riconducibili o molto simili a quelle cistercensi, mentre il Monastero fu vistosamente rimaneggiato nel 700. Dietro l’altare Maggiore era esposta una famosissima Pala di Ambrogio Lorenzetti (detta Trittico di San Michele Arcangelo) che fortunatamente è stata recentemente restaurata (non era più esposta a Rofeno ancor prima del crollo) ed ora si può vedere in tutto il suo splendore nel Museo d’Arte Sacra di Asciano.

  

Eccone una descrizione stupenda: “L’immagine imponente del San Michele Arcangelo, che lotta con la bestia dalle sette teste descritta dall’Apocalisse, ebbe una singolare risonanza nelle generazioni di artisti a venire, apprezzato anche per gli azzardati ed accattivanti contrasti cromatici.

Separato per motivi conservativi dalla cornice intagliata da Fra’ Raffaele da Brescia (Brescia 1479-Roma 1539), il trittico ha rivelato la sua struttura primitiva praticamente intatta e il restauro ha permesso di scoprire l’originale cornice trecentesca dipinta secondo uno schema decorativo insolito. Questo impiego così inconsueto trova una sua motivazione nel tentativo, perfettamente riuscito, di armonizzarsi cromaticamente con le tonalità modernissime dell’immagine dell’Arcangelo, a cui del resto si legò anche Fra’ Raffaele nel fondale azzurro ritrovato nel corso di questo restauro della cornice.

La fortuita scoperta costituisce una tappa fondamentale nella conoscenza delle capacità formali di Ambrogio e dà un senso alla testimonianza del Vasari che documentava per il Polittico di Badia a Rofeno una fortuna critica eccezionalmente vasta”.