Alarico Rossi, ondaiolo classe 1986, figlio di Alessandro, noto giornalista e attualmente direttore di Forbes Italia, ha fatto di una delle sue passioni, il calcio, la sua professione. Dagli inizi, seguendo la squadra dei piccoli delfini fino a divenire il capo del Dipartimento di Analisi, Scouting e Innovazione della Nazionale Albanese, passando per una formazione accademica importante. 

“La mia mansione adesso è complessa e spazia dal reperire informazioni per le partite future, allo studio dell'avversario, l'analisi dei dati e degli allenamenti, la ricerca di nuove leve e la gestione dei giocatori albanesi che giocano nel mondo.” Un ruolo ricco di sfaccettature che la portano in giro ovunque.

“In giro, in realtà ci sono sempre stato sin da quando ho iniziato questa attività prima da collaboratore esterno poi con un ruolo ben definito all'interno dei club; ho semplicemente allargato il raggio di azione via via che ho salito le categorie, dalla Grevigiana, che ho seguito nel 2010 in seconda categoria, alle giovanili del Pisa quando dai viaggi nella provincia Toscana la forbice delle distanze si è ampliata da Bolzano a Benevento, fino ad arrivare alla consulenza esterna con il Livorno e all'incontro con Panucci che ho seguito poi a Terni e infine in Albania.”

Come si arriva in Nazionale?

Innanzitutto, ci vuole fortuna. Poi per arrivare a stare a certi livelli servono gavetta, sacrificio e perseveranza. Non ci si deve fermare mai.

Il salto da un club ad una nazionale è stato grosso?

È notevole, quella albanese poi è una federazione composta da 13 squadre. Più che altro è singolare il contesto. L'Albania conta tre milioni di abitanti in patria e nove sparsi per il mondo, i nostri tifosi distribuiti ovunque e hanno tutti un forte senso di appartenenza alla squadra, alla bandiera e all'inno nazionale. C'è un episodio che può spiegare meglio questo concetto; in occasione di una trasferta in Macedonia, un match che aveva una connotazione politica particolare e un notevole impiego di sicurezza, quando con il pullman della squadra siamo passati attraverso la dogana, i poliziotti si sono schierati con la mano sul cuore al nostro passaggio. Per loro la nazionale è una cosa seria tanto è che l'eco della partecipazione della squadra agli europei del 2016 ancora non si è spento, i giocatori che vi parteciparono sono considerati eroi nazionali.

Che paese è l'Albania ?

Un paese di cui noi spesso abbiamo un'idea distorta; è una nazione in grande esplosione dove il divario tra modernità e arretratezza in questa fase di crescita si nota ancora di più, abitato da gente che ha la cultura dell'ospitalità.

E nel suo campo?

La federazione sta lavorando in maniera importante non solo sul piano prettamente calcistico ma a livello sociale. Si stanno costruendo stadi e c'è un importante investimento sulle infrastrutture e nel sostegno ai club. Anche nel mio dipartimento, dove sono a capo di personale albanese, il progetto è quello di istruire e formare professionisti. Il calcio è visto come una possibilità di crescita in generale dal punto di vista delle professionalità e nello stesso tempo si investe in tutto il tessuto sociale a partire dai bambini.

Siena in questo giro del mondo cosa le ha dato?

Da Siena ho preso tutto quello che potevo prendere. La prima intuizione fu di Claudio Casini che mi chiese di allenare gli esordienti dell’Asta Taverne ormai 14 anni fa, “scoprendomi” al Nirvano Fossi. Con Alessio Cencioni e Antonio Basili abbiamo inventato il torneo “Giocacalcioincontrada”, è bello vedere i piccoli delle contrade che considerano la squadra come se fosse la Nazionale. La nostra cultura mi ha passato le basi necessarie per gestire emozioni e imprevisti che poi sono il sale e l'anima del mio sport. Sembra paradossale ma sono tanti i momenti legati al Palio e alla contrada che si possono ritrovare nel calcio, anche solo per l'intensità emotiva di certi attimi, basta pensare ad uno stadio pieno che canta un inno nazionale.

Lei però non si è sempre e solo occupato di calcio.

È vero, pur essendo figlio di un importante giornalista non ho mai desiderato fare questo mestiere e appena il calcio è diventato una professione sicura ho lasciato il Corriere di Siena, di cui conservo ottimi ricordi soprattutto per la stima di Bisi, direttore dell'epoca.

Le manca questa città ?

Prima di più, adesso meno. Ho qui i miei principali punti di riferimento, Caterina mia moglie e nostra figlia Giorgia. Averle a Siena è di conseguenza un contatto continuo con la mia città, oltre che un sostegno e un supporto fondamentale che mi fa sentire meno la mancanza. Ma è così anche nei confronti della mia contrada e degli amici storici, ci sono sempre e li sento vicini. La prima partita della nazionale albanese dopo il mio trasferimento lì è stata trasmessa alla Duprè, sei ragazzi sono venuti in trasferta in Turchia.

E questo anno senza Palio che lettura ha per lei?

Spero che i senesi abbiano capito cosa significhi avere una vita senza adrenalina e che possano iniziare a prendere il Palio come un’emozione e riconoscere la fortuna di essere senesi prima che contradaioli. Pensavo ci sarebbe stato un modo meno passivo di vivere quest'assenza invece temo che non sia stata vissuta come una possibilità di migliorare.

Il suo futuro riesce a immaginarlo qui?

Purtroppo no, la situazione dello sport professionistico non è quella dei miei anni del Liceo Classico, pensare di poter tornare e poter esercitare la mia professione qui adesso non è nemmeno ipotizzabile. So che lavorerò sempre fuori da casa, una casa che amo, al cui pensiero mi commuovo ma che rimane un luogo bellissimo ma isolato e con grandi potenzialità che potrebbero essere valorizzate meglio.