La pioggia cadeva incessantemente da due giorni e guidare nel caotico traffico cittadino risultava ancora più difficile. Inoltre, nonostante avesse fatto un uso smodato della piastra, i capelli proprio non riuscivano ad assumere una forma diversa da un pagliaio.

Finalmente riuscì a raggiungere il parcheggio, estrasse la tessera magnetica dalla tasca dell'impermeabile, ma nel farlo si bagnò la manica per inserirla nel lettore: “Al diavolo la pioggia” pensò sbuffando.

Una volta parcheggiata l'auto nel posto riservatole dall'ufficio amministrativo, provò a rimettere in ordine la sua fulva chioma, ma il tentativo risultò vano.

Gli abiti erano frusti e decisamente non alla moda. Questo le avrebbe comportato l'ennesima ramanzina da parte del suo capo sul suo look poco professionale e demodé, ma tanto, oramai, ci era abituata. L'ascensore la condusse rapidamente dal parcheggio al quarto piano e, non appena si aprirono le porte, si ritrovò faccia a faccia con John, un collega che esordì con “Hai oltre mezz'ora di ritardo, il capo è fuori di sé dalla rabbia e per di più...Oh, Laura, sei impresentabile!”

“Ti ringrazio per i tuoi entusiastici complimenti John, ma come potrai constatare anche tu, la mattinata non è iniziata nel migliore dei modi. Fuori sta diluviando, arrivare in centro da Walworth non è stato semplice e poi...Sir Neville mi ha avvisata solo ieri, in tarda serata, che stamane avrei dovuto presenziare ad una riunione, senza neanche accennarmene il suo contenuto!”

“...E poi” riprese sardonico John, “ti sei addormentata, come sempre, sul divano con le briciole di patatine sparpagliate sul tuo pigiama e, quando ti sei svegliata, oramai era troppo tardi per cercare di non indossare il primo maglione a coste color verde oliva trovato in qualche cassetto. Per non parlare, poi, della sedicente gonna in velluto color giallo ocra, probabilmente raccattata in qualche postribolo di Carnaby, che stamattina indossi con grande disinvoltura ed una buona dose di coraggio. Ma non è finita qui, signore e signori: il tutto è corredato anche da dei calzettoni stile Bridget Jones depressa che fanno capolino da un paio di stivaletti da motociclista”.

“I tuoi consigli da personal shopper mancato puoi pure andare ad elargirli a qualcun'altra, senza dover necessariamente ammorbare le mie giornate lavorative” disse Laura bisbigliando, “in fondo sono stata assunta dal museo in veste di storica dell'arte, non di modella” concluse lei piccata.

“Piuttosto, sai perché è stata indetta questa riunione con tanta urgenza?” domandò preoccupata.

“Mia cara, entra e lo scoprirai” e nel dire ciò, John le aprì la porta dell'ufficio dell'anziano direttore per farla accomodare e poi, una volta fatta entrare, la richiuse alle sue spalle, lasciandoli soli. “Laura, la stavo attendendo da oltre un quarto d'ora, ma è in ritardo come al solito, comunque si accomodi pure” e nel dire ciò, senza sollevare neppure per un momento la canuta testa dai fogli che stava leggendo, Sir Neville le indicò con il suo grassoccio indice una costosa poltrona di pelle d'agnello color tortora. Era evidente che l'ufficio fosse stato arredato da un architetto: tutto era stato curato nei minimi dettagli, soprattutto con la strategica collocazione della scrivania di mogano dinanzi alla grande vetrata con affaccio su Trafalgar Square.

Impacciata e timorosa, si sedette con lo stesso stato d'animo di una studentessa al cospetto di un insegnante ed iniziò a pensare: “Ma di che razza di riunione si tratta se sono presenti solo due persone?” pensò sorpresa. Mentre tentava di sistemarsi un calzettone che proprio non voleva accomodarsi sul suo polpaccio, il direttore finalmente sollevò il capo dalle scartoffie rabberciate che lo avevano tenuto occupato sino a quel momento.

“Laura, l'ho convocata nel mio ufficio...Ma cosa sta facendo?” disse stupito, ed ella: “Mi scusi, Sir Neville, ma a causa dell'umidità, i calzettoni continuano a scivolarmi giù lungo la gamba e sono costretta a...”

“Va bene, va bene, dei suoi calzettoni parleremo un'altra volta, ora però gradirei ricevere la sua attenzione, se non le è di troppo disturbo” concluse irritato.

“Innanzitutto” riprese l'anziano direttore del museo, “la nostra conversazione dovrà restare confidenziale, almeno in questa prima fase di studio del diario; non desidero che la notizia possa trapelare e giungere ai mass media prima di avere avuto la definitiva conferma della sua autenticità”.

“Diario? Ma di cosa sta parlando?” domandò incuriosita la donna.

“Laura, deve sapere che qualche tempo fa il museo ha acquistato ad un'asta privata un diario risalente al XV secolo e probabilmente appartenuto a Giovanna Cenami e...”, ma non poté terminare la frase perché Laura si alzò in piedi e, sporgendosi sulla scrivania, disse: “Mi sta forse dicendo che il diario della moglie di Arnolfini esiste davvero e che il museo lo ha acquistato?” domandò concitatamente. “Se mi desse la possibilità di terminare, non dico un discorso, ma almeno una frase, sarei in grado di darle maggiori ragguagli. Si segga e taccia, per favore” concluse l'uomo piccato.

“Mi scusi” disse Laura.

Il direttore, intrecciando le sue vecchie dita oramai nodose, riprese: “Le stavo giustappunto dicendo che il nostro museo, tempo fa, ha acquistato il presunto diario appartenuto a Giovanna Cenami. Ovviamente dico presunto perché, nonostante siano stati già eseguiti degli accurati esami da parte di un laboratorio che ne ha datato con certezza l'epoca, ancora non siamo stati in grado di determinare la paternità dell'opera in maniera definitiva. Tuttora il diario si trova all'interno di una banca, in una cassetta di sicurezza e, quindi, non potrà esaminarlo de visu, anche se mi sono premurato di farle fare delle copie in vista della riunione odierna” e, nel dirlo, fece scivolare una risma di fogli verso Laura.

“Mi sta forse chiedendo di leggerlo, Sir Neville?” domandò Laura con voce garrula.

“Le sto dicendo di leggerlo, sì, e di darmi un suo parere professionale. Laura, lei lo sa bene che, nonostante le nostre divergenze sul piano lavorativo, io nutro una profonda stima nei suoi confronti e la ritengo una storica dell'arte autorevole”.

E Laura, con le gote infiammate per gli inattesi complimenti, riprese a dire: “La ringrazio per la fiducia riposta in me, non posso prometterle ovviamente di dipanare la matassa, ma il prezioso diario sarà oggetto di un accurato studio da parte mia” e, dicendo ciò, prese le carte e si alzò.

“Per me è comunque un onore il conferimento di questo prestigioso incarico da parte sua” concluse emozionata.

“Quanto tempo ho per poterlo analizzare?” domandò.

E Sir Neville: “Tutto quello che le occorre, la posta in ballo è troppo alta per darle delle scadenze che, sappiamo bene, non rispetterà” disse ridendo letteralmente sotto i baffi.

La donna, una volta inserite le preziose carte nella sua ventiquattrore e dopo aver  salutato il suo superiore, si diresse verso la porta, ma mentre stava abbassando la maniglia, venne richiamata dalla querula voce dell'uomo che le disse: “Ah, Laura, non creda che non abbia notato e disapprovato il suo improponibile look. Ragazza mia, quando deciderà di dare una sistemata a quella chioma ribelle e...di iniziare ad indossare degli abiti più sobri e più appropriati alla sua persona? Per non parlare di quel rivolo di mascara sbavato sul suo viso che la fanno apparire pronta per recarsi ad una festa in maschera!”

Ma le parole di quell'uomo, agghindato da vecchio gentlemen inglese, caddero nel vuoto.

Laura, come sempre del resto, avevo risposto a modo suo: alzò una mano, gli sorrise e uscì  precipitosamente dalla stanza.

Incominciò a percorrere il corridoio, ma venne ostacolata da quella lingua biforcuta di John, che fremeva dal desiderio di conoscere l'esito del colloquio con il direttore.

Ella, però, fu abile nello schivarlo, blaterando ingenue scuse e rimandando l'argomento a un altro momento. Poi, finalmente, con passo accelerato, si diresse nel suo ufficio.

Una volta entrata, girò la chiave nella serratura, si diresse alla scrivania, accese la lampada e si sedette sulla sua poltroncina logora.

“Ovviamente non posso pretendere che il museo investa i soldi pubblici in una sedia nuova: le finanze dello Stato ne risulterebbero irrimediabilmente compromesse!” pensò tra sé e sé caustica.

Poi, quando prese quei fogli tra le mani, le riaffiorarono alla mente, all'improvviso, le immagini di un Natale di venticinque anni prima, quando la madre le aveva consegnato il suo regalo ed ella, aprendolo, aveva trovato il romanzo David Copperfield, in un'edizione con illustrazioni originarie e legatura di pregio.

Sapeva quanto sacrificio fosse costato a sua madre, operaia in una lavanderia della cittadina di Reading, acquistare quel libro, ma sapeva anche che per sua figlia quella donna avrebbe smosso le montagne.

E infatti era riuscita a farla laureare con il massimo dei voti alla Oxford University!

E Laura era consapevole del fatto che questo incarico rappresentasse la sua consacrazione nel mondo degli storici dell'arte: il suo sogno, ma anche quello di sua madre, si stava realizzando.

Con rinnovato vigore, inforcò gli occhiali tartarugati e incominciò a leggere trepidante.

3 Settembre 1434

Il viaggio finalmente è terminato. Ho abbandonato la mia solare Lucca per giungere in una terra che, al mio arrivo, mi ha accolta con una pioggia battente e un gelido vento proveniente dal mare del nord. Il mio futuro sposo mi ha accolta calorosamente sulla soglia della sua bella casa; mi sembra più bello dal vivo che nel piccolo ritratto mostratomi da mio padre qualche tempo fa.

I suoi modi sono cordiali, è vero, ma un algido alone campeggia sulla sua persona; ha occhi piccoli, ma severi, una corporatura segaligna, castani capelli che ne incorniciano il volto.

Gli azzimati abiti, invece, ne esaltano la prestanza fisica: Giovanni è veramente affascinante, mentre io... mi sento del tutto inadeguata a diventare la sua sposa.

Questa sera, per cena, nutro un certo timore all'idea di affrontarlo: cosa dovrei indossare, cosa gli dovrei dire e, soprattutto, come mi dovrei comportare?

Nulla mi è stato detto sui rapporti tra due futuri coniugi: so suonare, so cantare, so cucire e persino dipingere, ma non so amare.

I miei genitori non si amavano e, dunque... come avrebbero potuto insegnarlo alla loro unica figlia? La pioggia continua a ticchettare sull'inglesina della finestra. Mi sento sola.

4 Settembre 1434

Piove incessantemente da giorni.

Non posso uscire per fare neanche una passeggiata perché le acque dell'estuario del Reye, credo si chiami in questo modo (ho seri problemi con la lingua fiamminga), sono straripate e hanno invaso buona parte della città. Fortunatamente la casa del mio signore (non posso ancora definirla la mia casa!), non affaccia sul fiume, ma è situata nei pressi del mercato, vicino la chiesa di San Salvatore, la cui edificazione non è ancora terminata o almeno così mi è stato riferito.

Con il mio signore ci incontriamo la sera a tavola per desinare, ma le nostre conversazioni sono sempre molto formali, perché vertono esclusivamente sul tempo, sull'andamento della casa, sulla qualità del cibo nel piatto. Come mai non avverte il desiderio di conoscere più approfonditamente colei che sposerà tra poco meno di un mese?

       Io sarei interessata ad essere messa al corrente del suo lavoro (so solo che Giovanni è un importante commerciante di Bruges), per esempio, delle sue ambizioni, ma anche dei suoi problemi. Insomma, vorrei sapere tutto della sua vita, perché presto diventerà anche la mia.

Oh, come mi piacerebbe conoscerlo, per poter imparare ad amarlo.

E poi, come risulterebbe dolce il suono della sua voce se decidesse finalmente di chiamarmi con il mio nome di battesimo, Giovanna.

Finalmente cadrebbe quel velo di estraneità che si frappone tra di noi e che ci rende ogni giorno più distanti. I miei precettori, purtroppo, non mi hanno mai insegnato nulla sull'arte di amare, ma l'unico aspetto che, invece, si premuravano di evidenziare in continuazione era la necessità di impartirmi delle lezioni di musica e cucito. Sono nata solo per essere una moglie.

Ricordo, inoltre, che si infuriavano con me a causa della mia espressione imbronciata, quasi fossi in conflitto perenne con la vita. “Voi dovete imparare a sorridere” mi ripeteva uno dei tanti precettori che si sono succeduti nel tempo, “perché un marito ha bisogno di una moglie da esibire dal volto lieto e non di una donnetta immusonita”.

Si sono mai domandati perché io non sorrida mai? Forse nel corso della mia giovane vita non ho avuto mai il desiderio di farlo perché l'affetto sincero, il calore di un abbraccio materno, la felicità vera mi sono ancora tuttora sconosciuti.

E ora sono qui, in un posto che prometteva di dare una svolta alla mia vita, ma che in realtà si è rivelato essere la mia tomba spirituale.

Mi sento sola. Mi manca il sole della mia Lucca, mi manca la mia gente, mi manca la mia casa natale.

Mi sento una straniera in una casa che dovrebbe presto diventare anche la mia.

5 Settembre 1434 

Stamattina, finalmente, sono riuscita a uscire per recarmi in chiesa, anche se il tempo è ancora inclemente. Infatti, nonostante la pioggia sia cessata, le nuvole continuano a oscurare il sole che ancora non riesce a far capolino da questi cinerei nembi.

Ho potuto ammirare la facciata della casa di Giovanni, così diversa da un punto di vista architettonico da quelle della mia amata terra; la intelaiatura a traliccio, infatti, tipica delle abitazioni di questo luogo, mette in risalto il sapiente utilizzo di legno e laterizi all'interno dei riquadri incorniciati dalle travi.

La trovo veramente molto bella.

Poi, con la mia fidata balia, che ha deciso di seguirmi in questa terra lontana per non lasciarmi sola, mi sono diretta alla cattedrale e, prima di giungervi, ho potuto ammirare le tante botteghe che affollano le strade e che espongono splendidi merletti e prezioso lino. Desidererei tanto poter acquistare un po' di merletto, magari per realizzare un bel velo da poter sfoggiare in occasione della mia presentazione ufficiale al duca di Borgogna, signore della città, ma non oso domandarlo al mio futuro sposo. Poi, una volta giunta dinanzi alla cattedrale di San Salvatore, sono rimasta assolutamente folgorata dalla sua grandiosità. Infatti il campanile, alto circa novanta metri, svetta maestoso nel cielo e campeggia sulla città tutta. Inoltre, ho avuto la netta impressione che l'uomo abbia tentato, nell'erigere questa maestosa opera architettonica, di sfiorare la volta celeste, dimora di nostro Signore.

Sono entrata in chiesa per restarci sino al termine della funzione mattutina e poi, approfittando di una tregua concessa dalla pioggia, ho deciso di passeggiare lungo i canali della città. Mi era stata fatta una descrizione approssimativa di Bruges da parte di mercanti amici di mio padre i quali ne avevano decantato i ricchi commerci, ma non i suggestivi canali.

Infatti, durante la mia passeggiata, nell'attraversamento dei suoi caratteristici ponti, ho catturato l'incanto di una città che si specchia nell'acqua, diffrangendosi in un caleidoscopio di colori, inafferrabili anche dalla mano del  pittore più abile.

Poi, purtroppo, sono stata costretta a rientrare anticipatamente a casa a causa della pioggia. Sì, piove, ovvero sembra che le cateratte del cielo si siano aperte, favorendo anche l'afflusso di aria fredda proveniente dal nord che mi costringerà a dover sostituire la mia gamurra di cotone con una di lana, nonostante sia ancora l'inizio di settembre. Mentre facevo rientro a casa, a causa della inclemente pioggia, la pellanda di cotone color mattone che indossavo si è completamente bagnata, un orlo si è scucito ed infine strappato. Come sono goffa!

Infatti, proprio a causa del pietriccio scivoloso, sono malamente inciampata nella mia stessa pellanda. Prima che il mio signore se ne accorga e anche se la luce della candela illumina flebilmente la mia camera, dovrò ricucirla, anche a costo di trascorrere buona parte della notte con ago e filo. Temo troppo il suo giudizio d i suoi rimbrotti .

7 Settembre 1434

Ieri sera, nel corso della cena, il mio signore mi ha comunicato che tra due giorni sarebbe venuto nella nostra casa (l'ha definita proprio così) un pittore, per ritrarci nei nostri abiti nuziali.

Infatti, Giovanni desidera sancire la sacralità della nostra unione non soltanto in Chiesa, ma anche su di una tela, per lasciare ai nostri futuri figli (allora mi immagina già in veste di madre!) un ricordo dei loro genitori e per consacrare la grandezza del casato.

Mi ha anche detto che l'autore, un certo Jan Van Eyck, è molto celebre, soprattutto per un polittico esposto nella cattedrale di Gand. Non vedo l'ora di conoscerlo!

E, soprattutto, non vedo l'ora di indossare la veste nuziale che mia madre ha fatto cucire per me dalle sapienti mani delle sarte lucchesi.

E poi Giovanni, nel corso della cena, mi ha ulteriormente sorpresa, raccontandomi per la prima volta del suo lavoro. Ha iniziato a narrarmi che Bruges, poiché fu edificata sulle rive del fiume Reye, ha sfruttato la sua naturale posizione strategica per incrementare i traffici marittimi che le garantiscono, pertanto, una consolidata prosperità economica.

Per questa ragione, inoltre, il duca di Borgogna decise di stabilire anche qui una sua corte attraendo, di conseguenza, numerose personalità tra i più rinomati artisti, banchieri e commercianti del momento.

Il mio Giovanni (mi piace chiamarlo così) riuscì a entrare nel circolo più selettivo del granduca grazie alla sua importante posizione sociale faticosamente raggiunta. E all'interno del nobile circolo fece poi la conoscenza del maestro Van Eyck, artista molto amato da sua eccellenza.

Sarà così emozionante, per noi, posare dinanzi ad un pittore così rinomato!

La serata appena trascorsa, la più bella dal mio arrivo in città, è stata la prima occasione in cui il mio futuro sposo e io abbiamo incominciato a conoscerci e questa notte, cullata dalla dolce idea dell'amore che sto iniziando a nutrire per lui, per certo dormirò più serenamente.

8 Settembre 1434

La giornata volge al termine ed emozioni contrastanti le hanno fatto da cornice.

Stamattina la mia fidata balia ha disteso il mio sontuoso abito nuziale sul letto e, al solo ammirarlo, non ho potuto evitare che una lacrima rigasse il mio volto.

Le maniche della veste, di un bel blu reale, si stagliano e contrastano con la preziosa gamurra di un vivido verde olivastro ed interamente bordata di pelliccia di ermellino.

Ho indossato l'abito, mi sono rimirata alla specchio e, ammantata nella nuziale veste, mi sono vista bella. Poi, sono scesa dalla mia stanza e, una volta raggiunto il mio futuro sposo nel soggiorno, abbiamo accolto il maestro Van Eyck nella nostra casa.

Il pittore ci ha impartito alcune indicazioni sulla composizione del quadro; incredibilmente ha egli deciso di ritrarci nella nostra futura camera nuziale che, per l'occasione, è stata adornata di arance, simbolo della nostra terra natia e di zoccoli, espressione della vita laboriosa che ci avrebbe atteso.

Quando il maestro ha chiesto a Giovanni di prendermi la mano, un'onda di gelo ha però invaso tutto il mio corpo: no, non c'era amore in quel gesto, ma solo compassata cortesia.

Durante l'esecuzione della prima bozza del ritratto, il mio futuro sposo non ha posato una sola volta lo sguardo su di me. Io, in totale soggezione, non ho potuto che distogliere lo sguardo da Giovanni e abbassarlo mestamente.

Ho capito, a quel punto, che il mio matrimonio sarà solo il formale adempimento di un contratto e non un'unione d'amore. Così è stato per i miei genitori e, probabilmente, così sarà anche per me.

Mi sento sola e infelice.

La pioggia continua a cadere instancabilmente.

 

Laura smise di leggere e, posati gli occhiali su quelle tormentate carte, si alzò.

Si diresse stancamente verso la finestra, scostò le tende e vide che la pioggia proprio non voleva lasciare il posto al sole. La pioggia, esattamente come quella che bagnava i vetri della camera di Giovanna, ora incorniciava tristemente quelli dell'ufficio di Laura.

Giovanna e Laura, due donne completamente diverse, eppure talmente simili.

Sì, perché entrambe, seppur per ragioni diverse, avevano intrapreso strade che le avrebbero condotte inevitabilmente all’infelicità.

La mestizia non conosce epoca, stagione, nazione; essa invade e pervade tutti coloro i quali si ritrovano a doversi calare in un personaggio diverso dal loro temperamento e ad interpretare uno scomodo ruolo per pura e mera convenzione sociale.

La vita è un ciclo, con corsi e ricorsi storici “Come vaticinò Vico qualche secolo addietro” pensò Laura e ci ritroviamo, proprio per questa ragione, a rivivere la vita di donne e uomini vissuti in epoche lontane. Per questo motivo, la vita di quella piccola donna lucchese trapiantata nelle Fiandre la sconvolgeva; lei, a differenza di Giovanna, non si era mai sposata e anzi, a dirla tutta, era stata lasciata sull'altare proprio il giorno delle nozze.

Laura, però, non era diventata una “Miss Havisham, ma aveva affrontato a muso duro il proprio fallimento per trarne, invece, quella forza che l'aveva condotta per ragioni lavorative dal piccolo centro di Reading a Londra, la città dalle mille vite.

Nuovamente si diresse alla sua scrivania e, nuovamente inforcò gli occhiali per leggere, questa volta, gli appunti di Giovanna sul giorno del suo matrimonio.

1 Ottobre 1434

Le cortine del letto, stamane, mi sono apparse più appesantite e tenebrose del solito, nonostante siano preziosamente ricamate e di un bel colore cremisi.

La pioggia, dopo alcuni giorni di tregua, ha ripreso a battere con maggiore vigore e il rumore che produce sui vetri della finestra mi è, oramai, insopportabile.

Stanotte ho sognato di cullare un bel bambino tra le mie braccia e la posa che avevo assunto nel sogno era simile a quella di una Madonna che vidi raffigurata nella chiesa di San Giovenale, nei pressi di Pisa, durante una passeggiata fatta in compagnia dei miei genitori. La ricordo ancora vividamente perché il bambino ritratto con la Vergine succhia, in maniera tipicamente infantile, due delle sue paffute dita nella sua piccola e rosea bocca. Quella immagine mi permea, ancora, di una infinita dolcezza.

 

       “Giovanna ha avuto modo di vedere dal vivo il famoso trittico del Masaccio nella cittadina di Cascia di Reggello” pensò Laura commossa e, dopo questa breve riflessione, riprese la lettura.

 

Oramai, dopo aver compreso di non poter ricevere altro che sussiegoso rispetto e compassata gentilezza da parte di Giovanni, il mio incarico in questa casa resta solo quello di poter presto donare un maschio al casato degli Arnolfini anche se, nel mio cuore, desidererei dare alla luce una bambina.

Mi immagino, infatti, nelle vesti di una mamma che magari le acconcia le trecce e spazzola i capelli, stendendo con le mie piccole mani le sue ciocche più riottose.

Il bussare alla mia porta mi ha ricordato che il tempo dei sogni è già terminato e che, invece, è giunto il tempo di affrontare la realtà, lieta o funesta che essa sia.

Quando la balia è entrata nella mia camera (infatti era proprio lei che aveva bussato alla mia porta) portava sulle sue nerborute braccia il mio abito nuziale: sì, oggi è il giorno del mio matrimonio. Ho indossato con indolenza la mia sontuosa veste nuziale, ma in realtà, sono in gramaglie. Prima di scendere al piano inferiore (ero attesa dal mio futuro sposo e dai nostri ospiti) ho sollevato rabbiosamente il velo di fine batista, ma la mia balia, dopo averlo calato nuovamente sul mio pallido volto, ha proferite codeste parole: “Ricomponetevi, mia signora, siete attesa al piano inferiore” e io, ubbidiente, mi sono ricomposta.

Solo le livide labbra che vidi riflesse nello specchio, tradivano il mio reale stato d'animo.

Una volta scesa al piano terra, ho appreso che il maestro Van Eyck, prima dell'inizio della cerimonia, desiderava ritrarre per un'ultima volta i due futuri sposi in procinto di salire sull'altare, per coglierne al meglio le emozioni impresse sul volto.

Sono stata obbligata a fingere gioia.

Non intendo rivangare la tediosa e solitaria cerimonia nuziale. Oh, erano ovviamente presenti oltre centocinquanta invitati e fra tutti svettata il regale cappello a larghe falde del duca di Borgogna, ma la mia famiglia era assente: “Impossibilitati a raggiungermi a causa delle cattive condizioni climatiche [...], ma con i più sinceri auguri di una feconda e longeva vita nuziale” recitava più o meno così il loro laconico biglietto che mi è pervenuto.

Al nostro rientro dalla chiesa, però, grande è stata la nostra sorpresa nel trovare su un cavalletto il ritratto realizzato e portato a termine dal maestro Van Eyck.

Giovanni, il mio sposo, ha sollevato la cortina che celava la tela e, una volta afferrata tra le mani, l'ha mostrata fiero a tutti gli astanti; che paradosso, l'unico soggetto gioioso e festante del ritratto è risultato essere il nostro piccolo e fidato cane, ritratto con i futuri nubendi.

Io, invece, sono raffigurata col capo leggermente chino e lo sguardo... assente. Di certo non sono la sposa più felice del mondo e nonostante il mio ingenuo tentativo di celarlo, non ci sono riuscita. Nel quadro è ritratta la Giovanna che da oggi dovrà interpretare al meglio il ruolo di moglie. Purtroppo, la Giovanna partita da Lucca con la speranza serbata nel cuore di conoscere e ricevere un po' di amore, non esiste più. Ora è tardi, però. Devo cessare di scrivere il mio diario per indossare la mia veste da camera. Giovanni mi ha chiesto di dargli subito un erede.

Il mio lavoro di moglie inizia stanotte.

 

Laura, senza che se ne fosse accorta, iniziò a piangere e le salate lacrime, le inumidirono le labbra. Si asciugò frettolosamente gli occhi bagnati, poi controllò l'ora e decise di recarsi al piano terra; la sala doveva essere gremita di gente a quell'ora, ma non importava.

Una volta giunta, si fece strada tra le frotte di turisti e si parò dinanzi al dipinto.

Vide Giovanna, timida e con lo sguardo sottomesso.

Giovanna, quella piccola donna vissuta circa seicento anni prima, non era stata felice e il destino beffardo le aveva negato anche la gioia della maternità.

Quale esistenza poteva mai avere condotto, gravata come era da lancinanti sensi di colpa, resi forse ancora più insopportabili dal malcontento del marito a cui aveva negato l'erede tanto agognato?

Lei non aveva potuto scegliere, aveva solo subito.

Questo il maestro Van Eyck lo aveva colto e magistralmente raffigurato in quel rassegnato volto.

Laura, invece, aveva scelto.

Doveva tornare nel suo ufficio per riprendere il lavoro, lo sapeva bene, ma prima e senza pensarci, prese ad accarezzarsi dolcemente il grembo oramai prominente.

Lì c'era la testimonianza vivente che il destino le aveva offerto una seconda chance: “Non la sprecare, Laura, non questa volta” pensò, “per tutte le donne come Giovanna, ma soprattutto per te stessa”.

Ora poteva tornare a lavoro.

Il sole, intanto, si affacciò timidamente sulla città.