Il suo nome era Laudomia; suo padre era Alessandro Forteguerri e sua madre era una Pecci, Virginia. Era nata a Siena nella primavera del 1515: il giorno preciso non lo sappiamo, ma quello in cui fu battezzata sì. Era il 3 giugno.

Di lei si sa che era bellissima (anche se non esistono ritratti), tanto da far girare la testa a più di un aristocratico (forse anche ai plebei, ma loro non potevano raccontarlo). Non ancora ventenne va in moglie a Alessandro Colombini, al quale dà tre figli: Olimpia (1535), Antonia (1537) e Alessandro (1539), anche lui sarà un letterato di notevole valore.

Ma il suo destino non è quello di essere ricordata come una pia sposa e madre esemplare: la sua strada è quella della poesia e della critica poetica tanto che viene ritenuta una delle più fini esegete della “Commedia” dantesca della sua epoca. Per la verità, la sua cultura l’avrebbe anche indirizzata verso le scienze, soprattutto l’astronomia, che le sarebbe piaciuto studiare, ma la sua condizione di donna gliele precludono. Almeno così afferma Alessandro Piccolomini, letterato, per tutta la vita innamorato perso di lei e che le dedica i suoi due trattati di astrologia e cosmologia, “De la sfera del mondo” e “De le stelle fisse”.

Alessandro Piccolomini

Dedica di Alessandro Piccolomini a Laudomia Forteguerri

 

Il Piccolomini, che, a dire il vero, le fa una corte spietata, fregandosene del fatto che lei abbia un marito, le dedica anche “La Raffaella”, un’opera licenziosa, che i critici leggono come una narrazione  in cifra nella quale la malmaritata Margherita sarebbe proprio la Forteguerri e lo spasimante Aspasio sarebbe lui, l’innamoratissimo Piccolomini. A lei il letterato senese offre rime su rime e quando, rimasta vedova nel 1542, Laudomia si risposa con Petruccio Petrucci nel 1544, Alessandro Piccolomini non glielo perdonerà e non mancherà di rinfacciare alla donna di non aver dato esito ad un amore che lui asserisce corrisposto e, quindi, tradito.

Per fortuna di Laudomia, la sua fama non è legata alle sole testimonianze del deluso Piccolomini: per lei parlano i suoi raffinati componimenti poetici, osannati da Benedetto Varchi, da un altro Piccolomini, Marcantonio, da Ottaviano Scoto e da Bernardo Tasso che nel suo “Amadigi” ricorda:

“Una di cui copre le dorate chiome
Crespo e candido velo, e sia cantata
E posta in molta stima e molto pregio
Da penna di scrittore alto ed egregio,
Sarà Laudomia Forteguerri detta”.

Spirito indipendente e donna di assoluto anticonformismo, dedica i suoi sonetti ad altre donne e soprattutto alla figlia di Carlo V, Margherita d’Austria, conosciuta quando ha vent’anni, a Siena nel  1535, e con la quale instaura un legame che lascia pochi dubbi sulla sua natura di genuino amore saffico.

Margherita d'Austria

 

Lo testimonia ancora lui, Alessandro Piccolomini e, con lui, Agnolo Firenzuola e Pierre de Bourdeille, detto Brantôme.

Lo testimoniano molti versi che la stessa Laudomia dedica all’amata Margherita:

"Pianta felice, così amata in paradiso
dove la natura ha messo tutte le sue cose più perfette,
quando si è proposta di creare tanta bellezza,
parlo della mia dea, Margeruite d'Austria."

Tuttavia, oltre che al ricordo dei suoi raffinati e innovativi versi, la memoria di Laudomia si lega alla narrazione in forma mitopoietica di una parte cruciale della storia di Siena: l’assedio, quello del 1554- 1555 contro medicei e imperiali. E’ lei, si vuole, a capitanare una delle schiere di donne (le altre sono quelle di  Livia Fausti e Fausta Piccolomini) che lavorano al consolidamento delle fortificazioni e, dice la tradizione, dubitabilmente confortata dal racconto di Blaise de Monluc, combattendo perfino sugli spalti.

Proprio questo aspetto crea la leggenda di Laudomia Forteguerri che cade sulle mura difendendo la libertà di Siena, quasi metafora della difesa di se stesa, donna fuori dagli schemi convenzionali. In realtà, quasi sicuramente, Laudomia è ancora viva dopo l’assedio, ma la data della sua morte è un altro di quei dati che manca del tutto.

Come sia stata la sua vita, come sia stata davvero la sua storia, noi amiamo pensarla e “ricordarla” così: a tirare addosso agli assalitori, fieramente in piedi sugli spalti della sua città, magari, perché no?, mentre recita, combattendo, un sonetto appassionato per colei che aveva sinceramente amato.