Mario Luzi a Siena non c’era nato: era nato a Firenze, anzi, nemmeno. Era nato a Castello di Firenze (Sesto Fiorentino) il 20 ottobre del 1914. Ma a Siena aveva scelto di rinascerci. Frequenta il Ginnasio, fra il 1927 e il 1929,  anni che lo avrebbero segnato per sempre.

“Adolescente – scrive – scoprii l’arte, la lingua nella sua più pura, casta potenza, l’amicizia, l’amore, e quella tensione interna che per alcuni era il futuro” e tutto questo “sotto il sole e sotto le nevi, ugualmente sfolgoranti, di Siena”. Sono gli anni in cui, d’estate, conosce l’alta Maremma (trascorre lunghi soggiorni a Samprugnano: oggi Semproniano) e coniuga l’innamoramento per la città con quello per un territorio che di quella stessa città, portava ancora incisi i segni storici. E Samprugnano, peraltro, è lo scenario di una sua raccolta di versi “Onore del vero” che vinse il premio Marzotto.

Poi, nel 1929, il padre, funzionario delle Ferrovie, viene trasferito come capostazione a Castello e Mario torna a Firenze dove completa gli studi liceali.

Ma gli anni di Siena sono quegli anni che egli stesso definì di “anni di estatica delizia”, in cui apprese la “grammatica dello spirito”; gli anni in cui abitò fra Piazza Provenzano (dove ancora, sulla casa nella quale viveva un’epigrafe ne segna il ricordo) e il Casato e che riversò poi nelle sue poesie nelle quali fuse l’amore per la città con la Valdorcia, Pienza in particolare, dove nacque il sodalizio intellettuale e spirituale con don Fernardo Flori. 

Nel 1999, in veste di Presidente della Giuria del Premio nazionale di Poesia promosso dalla Contrada della Tartuca, Luzi  dichiarò che per lui c’era stato un tempo in cui, ogni volta che rimetteva piede a Siena, si scatenava “un’emozione insostenibile: una folla di ricordi, un riaffiorare di presenze, una percezione di assenze che stringevano; Siena era la mia giovinezza.”

Anche il Palio gli rimase dentro: in una poesia compresa nella raccolta  “Per il battesimo dei nostri frammenti”, lo definisce: un “bruciante mulinello”, “furore policromo”.

Quell’amore dichiarato che trova il punto più alto in uno dei suoi poemi più belli, frutto della sua piena maturità, quel “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini”, pubblicato quando ha ormai 80 anni, nel 1994. Un viaggio immaginario e iniziatico di Simone Martini che ritorna da Avignone e ma nella cui fine è l’artista che ci lascia la dichiarazione più forte mai scritta, inquietante, avvolgente:

Siamo ancora
Io e lei, lei e io
soli, deserti.
Per un più estremo amore? Certo.

Mario Luzi è stata una delle figure più importanti della letteratura italiana del Novecento: più volte in predicato per il Nobel, fu sempre osteggiato da una corrente che a Stoccolma se le inventò nere pur di non insignirlo del riconoscimento che avrebbe meritato ben più di altri. Lui non se ne fece un cruccio, o, se se lo fece, lo dissimulò con signorile nonchalance.

Nel 2004 fu nominato Senatore a Vita, un anno prima di morire, il 28 febbraio 2005.

Ma Siena, Luzi, non lo dimenticò mai. Gli affidò la prolusione per l’inaugurazione dell’anno accademico il 5 novembre 1994; lo invitò varie volte a parlare delle sue poesie; nel 1996 lo insignì del Mangia d’Oro e quando, nel 2014, cadde il centenario della sua nascita, il drappellone d’agosto vinto dalla Contrada Priora della Civetta, commissionato al pittore bulgaro Ivan Dimitrov, venne dedicato al suo ricordo. Un omaggio dovuto da una Siena che ha ricambiato tanto e tale amore.