Eremo di Lecceto: dai briganti ai beati "Dio parla nel gran silenzio del cuore"

Da questo prende il nome: dall’essere immerso in un lecceto tanto folto e silenzioso da inglobarlo, inghiottirlo, nasconderlo agli occhi di chi, con cuore puro, non va, di proposito, a cercarlo. E’ l’eremo di Lecceto, intitolato a San Salvatore, e dagli anni ’70 del secolo scorso affidato alla cura e alle preghiere delle monache agostiniane.

Ma la storia viene da lontano nel tempo, solida, secolare, a tratti misteriosa, come quei lecci che l’abbracciano. Si dice che Lecceto sia nato da un gruppo di eremiti che scelsero questo luogo, allora poco più che un covo di briganti e ladri, per renderlo un “covo di santità”. E’ così alcuni credono che questa sia una delle probabili spiegazioni del suo motto: “Ilicetum vetus Sanctitatis Illicium” (cioè: Lecceto antica attrazione di santità). Si dice che essi vivessero, fin dal XII secolo, nelle grotte di tufo che contornano la selva di Foltignano (o Selva del Lago) e che nel 1228 consacrano la loro piccola chiesa, primo nucleo della vita comune e di questo Eremo.

In realtà i primi documenti che parlano dell’Eremo risalgono al 1223 e nel 1243 Papa Innocenzo IV accolse la richiesta fatta di abbracciare la Regola Agostiniana, e così la comunità dell'eremo fu la prima, il 4 marzo 1387, a seguire la nuova Regola di sant'Agostino grazie al prodigarsi e al volere del priore Bartolomeo da Venezia.

In un grande quadro che si conserva tuttora nella chiesa dell’eremo, risalente al XVII secolo, è raffigurato l’albero di quella che potremmo definire la “santità” alla quale Lecceto ha dato “vita”: vi sono raffigurati 39 nomi di monaci che nel corso dei secoli sono stati venerati come beati. Nel XIV secolo venne effettuato l'ampliamento generale di tutto il convento, che all’epoca era costituito solo dalla piccola chiesa a capanna, dal chiostro e da alcuni locali che servivano per i momenti comuni dei frati. Nello stesso periodo venne arricchito il portico della chiesa romanica con affreschi murali, oggi ormai quasi del tutto invisibili a causa delle intemperie cui sono stati esposti. Dal 1404 al 1408 viene costruita, come difesa, l’imponente Torre quadrangolare sotto il priorato del celebre Filippo Agazzari, su disegno e realizzazione di un monaco di Lecceto, Cristoforo Landucci, architetto di notevole valore.

 

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I secoli XIV e XV videro il suo massimo splendore: architettonico, letterario e religioso. E ciò ha portato ad ipotizzare una diversa spiegazione del motto: “Antico Lecceto, attrattiva di santità”. Di questo periodo ne abbiamo testimonianza da una raccolta di “Esempi” di alcuni beati leccetani, gli “Assempri”, scritta dall’allora priore Filippo Agazzari (1398 – 1422, del quale abbiamo parlato in questa rubrica) e anche dal citato dipinto “dell’Albero dei Beati”.

La stessa Santa Caterina da Siena conosceva e frequentava questo luogo ed era legata da profonda amicizia con alcuni frati leccetani, in particolare con l'inglese William Fleete il quale, per diversi anni, fu suo padre spirituale, come ci ricorda oggi una piccola cappella a Lei dedicata accanto alla chiesa.

La presenza di Frati Agostiniani venne ininterrotta con le soppressioni Leopoldine di inizio '800.

Per Lecceto inizia, così, un periodo di estremo degrado e di abbandono. Nel 1816 venne venduto dal governo del dipartimento dell’Ombrone al seminario arcivescovile di Siena, il quale lo utilizzò come casa di vacanze per i suoi alunni fino al 1936. Abbandonato completamente e poco custodito per molti decenni, il vecchio monastero fino al 1952, oltre ad essere in mercè del tempo fu meta di molti predatori che lo saccheggiarono e, in parte, demolirono, ma le autorità civili e religiose non permisero che questo patrimonio di storia, d’arte e di spiritualità facesse una fine tanto ingloriosa e lo riportarono all’attuale situazione meta di pellegrini e religiosi. O di semplici uomini inquieti che, in quella tranquillità dei lecci, in quel silenzio, vanno a respirare l’antica santità alla ricerca di pace per la loro anima.

 

 

Eremo di Lecceto: dai briganti ai beati

Eremo di Lecceto: dai briganti ai beati "Dio parla nel gran silenzio del cuore"

Da questo prende il nome: dall’essere immerso in un lecceto tanto folto e silenzioso da inglobarlo, inghiottirlo, nasconderlo agli occhi di chi, con cuore puro, non va, di proposito, a cercarlo. E’ l’eremo di Lecceto, intitolato a San Salvatore, e dagli anni ’70 del secolo scorso affidato alla cura e alle preghiere delle monache agostiniane.

Ma la storia viene da lontano nel tempo, solida, secolare, a tratti misteriosa, come quei lecci che l’abbracciano. Si dice che Lecceto sia nato da un gruppo di eremiti che scelsero questo luogo, allora poco più che un covo di briganti e ladri, per renderlo un “covo di santità”. E’ così alcuni credono che questa sia una delle probabili spiegazioni del suo motto: “Ilicetum vetus Sanctitatis Illicium” (cioè: Lecceto antica attrazione di santità). Si dice che essi vivessero, fin dal XII secolo, nelle grotte di tufo che contornano la selva di Foltignano (o Selva del Lago) e che nel 1228 consacrano la loro piccola chiesa, primo nucleo della vita comune e di questo Eremo.

In realtà i primi documenti che parlano dell’Eremo risalgono al 1223 e nel 1243 Papa Innocenzo IV accolse la richiesta fatta di abbracciare la Regola Agostiniana, e così la comunità dell'eremo fu la prima, il 4 marzo 1387, a seguire la nuova Regola di sant'Agostino grazie al prodigarsi e al volere del priore Bartolomeo da Venezia.

In un grande quadro che si conserva tuttora nella chiesa dell’eremo, risalente al XVII secolo, è raffigurato l’albero di quella che potremmo definire la “santità” alla quale Lecceto ha dato “vita”: vi sono raffigurati 39 nomi di monaci che nel corso dei secoli sono stati venerati come beati. Nel XIV secolo venne effettuato l'ampliamento generale di tutto il convento, che all’epoca era costituito solo dalla piccola chiesa a capanna, dal chiostro e da alcuni locali che servivano per i momenti comuni dei frati. Nello stesso periodo venne arricchito il portico della chiesa romanica con affreschi murali, oggi ormai quasi del tutto invisibili a causa delle intemperie cui sono stati esposti. Dal 1404 al 1408 viene costruita, come difesa, l’imponente Torre quadrangolare sotto il priorato del celebre Filippo Agazzari, su disegno e realizzazione di un monaco di Lecceto, Cristoforo Landucci, architetto di notevole valore.

 

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I secoli XIV e XV videro il suo massimo splendore: architettonico, letterario e religioso. E ciò ha portato ad ipotizzare una diversa spiegazione del motto: “Antico Lecceto, attrattiva di santità”. Di questo periodo ne abbiamo testimonianza da una raccolta di “Esempi” di alcuni beati leccetani, gli “Assempri”, scritta dall’allora priore Filippo Agazzari (1398 – 1422, del quale abbiamo parlato in questa rubrica) e anche dal citato dipinto “dell’Albero dei Beati”.

La stessa Santa Caterina da Siena conosceva e frequentava questo luogo ed era legata da profonda amicizia con alcuni frati leccetani, in particolare con l'inglese William Fleete il quale, per diversi anni, fu suo padre spirituale, come ci ricorda oggi una piccola cappella a Lei dedicata accanto alla chiesa.

La presenza di Frati Agostiniani venne ininterrotta con le soppressioni Leopoldine di inizio '800.

Per Lecceto inizia, così, un periodo di estremo degrado e di abbandono. Nel 1816 venne venduto dal governo del dipartimento dell’Ombrone al seminario arcivescovile di Siena, il quale lo utilizzò come casa di vacanze per i suoi alunni fino al 1936. Abbandonato completamente e poco custodito per molti decenni, il vecchio monastero fino al 1952, oltre ad essere in mercè del tempo fu meta di molti predatori che lo saccheggiarono e, in parte, demolirono, ma le autorità civili e religiose non permisero che questo patrimonio di storia, d’arte e di spiritualità facesse una fine tanto ingloriosa e lo riportarono all’attuale situazione meta di pellegrini e religiosi. O di semplici uomini inquieti che, in quella tranquillità dei lecci, in quel silenzio, vanno a respirare l’antica santità alla ricerca di pace per la loro anima.