In un’epoca di cambiamenti, in un posto qualunque disperso nella profonda campagna senese che prova a resistere al progresso, durante una torrida estate, un militare, trovatosi a indagare su un misterioso fatto di sangue, metterà alla luce un torbido legame tra potere e soldi. Ispirato a una storia vera.


“La strada del Poggio” di Andrea Siveri è un romanzo scritto all’ombra dei “Promessi sposi”.

Al pari della Lombardia sotto la dominazione spagnola, infatti, anche la Toscana di metà Ottocento è rappresentata come una terra contrassegnata dalla povertà, dalla violenza, dalla mancanza di garanzie per i semplici cittadini di fronte ai potenti, dall’inefficienza (a volte dalla corruzione) della giustizia. Di chiara ascendenza manzoniana appaiono anche alcuni personaggi di rilievo.

Ad esempio, il Catoni e il Del Pasqui, due “energumeni senza scrupoli dai modi alquanto spicci”, rimandano alla “specie de’ bravi”, il padrone dal quale dipendono, il cavaliere Pietro Leopoldo Buoninsegna, è modellato sulla figura di don Rodrigo, così come il curato, don Laurenti, presenta molti punti di contatto con don Abbondio, a partire dalla maniera con cui ricopre e interpreta il ministero sacerdotale per finire col desiderio di tranquillità.

La meticolosità nel descrivere i gesti di queste e di altre figure e nel rappresentare gli ambienti è costante e, come in Manzoni, contribuisce non poco al realismo della narrazione. Concorre poi a rafforzare il carattere storico del romanzo l’impiego di numerosi documenti, i quali, anche a livello stilistico, rimandano all’epoca in cui è ambientata la vicenda; da questo punto di vista svolgono nella “Strada del Poggio” la stessa funzione che nei “Promessi sposi” viene assolta dalle grida.

Non mancano, da ultimo, le digressioni, come quella sulla politica di Leopoldo II in Toscana, che apre il capitolo intitolato “Il consorzio”.

Ora, se Siveri esibisce il romanzo-modello in maniera talmente consapevole da accogliere nel testo perfino parole che ogni lettore trova naturale associare al capolavoro di Manzoni (sgherri, signorotto, capriccio, schioppo, trombone, coltellaccio), non lo fa né per rendergli omaggio né per esprimere un’identica passione per la ricostruzione storica attenta e documentata. Piuttosto, accetta l’idea che niente più del passato consente di parlare del presente, specie in Italia. E così accade che la sentenza di condanna dei responsabili del delitto di un luogaiolo risulti amaramente attuale, sia per ciò che essa stabilisce sia per ciò che essa volutamente omette di prendere in considerazione.