Siena, collezione delle tavolette di Biccherna, n. 14, priva di attribuzione, “La Natività di Gesù con don Giglio, monaco di San Galgano, camarlengo”, 1334 luglio-dicembre

 

Don Giglio, monaco di San Galgano, camarlengo della Gabella di Siena, prega davanti alla grotta della  Natività di Gesù. 

Nella  parte superiore della tavoletta appartenente all’ufficio della Gabella, datata luglio-dicembre 1334, l’anonimo pittore  ha rappresentato la grotta della Natività secondo moduli bizantini:  la Vergine Maria  distesa dopo il parto, evidenziata dal contrasto tra il mantello blu e il telo rosso su cui è distesa; più indietro la cesta di vimini su cui è stato deposto Gesù in fasce, riscaldato dal bue e dall’asinello (che si intravedono appena nella raffigurazione); San Giuseppe fuori dalla grotta a sinistra, nel solito atteggiamento defilato  e raccolto, a sottolineare il suo ruolo nella sacra famiglia, che è quello di custode della Vergine e del Bambino; ai lati della grotta due angeli; anche l’ambiente naturale con le pecorelle è ripreso dal modello orientale. Riprese invece dalla realtà le due figure in primo piano:   il pastorello sulla sinistra e soprattutto don Giglio sulla destra, in primo piano. Il monaco committente della tavoletta, perché in quel semestre svolgeva il compito di camarlengo (tesoriere e cassiere)  dell’ufficio della Gabella, riconoscibile anche per l’abito completamente bianco del suo Ordine, si  è fatto rappresentare in atteggiamento di adorazione, lasciando così memoria di sé. Enzo Carli ha sottolineato la diversità stilistica tra le figure del pastore e del camarlengo rispetto alla restante raffigurazione, diversità dovuta probabilmente ad una maldestra ridipintura a seguito di un tentativo di restauro che ha avuto come conseguenza l’abrasione di parte della pittura.
Nella parte inferiore della tavoletta i tre esecutori in carica in Gabella in quel semestre sono  ricordati a loro volta sia dagli stemmi  di famiglia sia nell’iscrizione (dove è di nuovo rammentato don Giglio):  Biagio Chiavelli, Cecco di ser Bindo Bonichi e Bindoccio di Latino Rossi. Cecco era il figlio di ser Bindo Bonichi, poeta moralista e oblato della Casa della Misericordia, dove assisteva poveri e infermi. 

La tavoletta si segnala per gusto arcaizzante, rifacendosi, seppure con un’esecuzione assai più rozza, all’illustre precedente  costituito da un pannello della predella della “Maestà” di Duccio del 1311 (quindi di un ventennio prima), dove la “Natività” è rappresentata con  un’iconografia affine, seppure più complessa e raffinata; il pannello, a seguito degli ‘sciagurati’ smontaggi e dispersioni di parti della “Maestà” nel secolo XVIII, è oggi conservato alla National Gallery di Washington. Si segnala infine che il modello bizantino, affermatosi a Siena attraverso la pittura duccesca,  sopravvive anche in un delizioso e fine pannello della Scuola  di Simone Martini, dipinto in Francia attorno al 1340, oggi al Museo Granet di Aix-en-Provence.

Le due citate famose “Natività”, per quanto eseguite in modalità più alte, non possono però vantare un ‘ministro delle tasse’ (questo era in sintesi il camerlengo)  del Comune medievale di Siena che si è fatto rappresentare in preghiera!  Da sottolineare infine che  altri religiosi amministratori delle finanze del Comune di Siena hanno lasciato memoria di loro stessi in tavolette di Biccherna e di Gabella  del Due-Trecento: una vera e propria galleria di monaci Circestensi di San Galgano o di frati Umiliati o Serviti, intenti a tenere la contabilità, a contare il denaro, a scrivere nei registri – don Ugo, don Bartolomeo,  don Guido, don Griffolo, don Tommasino, don Magino, don Meo, don Ranieri, don Gregorio, don Niccolò, don Matteo, fra’ Chimento, don Simone, don Francesco, don Leonardo  -  oppure eccezionalmente intenti a pregare: don Stefano davanti a San Galgano, il santo dell’Ordine a cui apparteneva,  e appunto don Giglio di fronte alla grotta della Natività.   Mi sovviene quindi un’ipotesi: il monaco potrebbe essere stato reduce da un pellegrinaggio in Terrasanta, dove aveva pregato devotamente nella grotta di Betlemme, quindi potrebbe aver commissionato una pittura che rappresentasse anche il ricordo di un momento di intensa e partecipata religiosità, rimasto per lui indelebile?

Duccio di Buoninsegna, “Maestà”, predella, pannello con la “Natività”, 1311, Washington, National Gallery