La notizia è stata data da più di un organo di informazione in questi giorni, ma, per la verità, non c'era bisogno di questi per accorgersene, e vari cittadini da tempo avevano segnalato il problema: senza persone un tetto sulla testa dormono nei pianerottoli delle risalite meccaniche o addirittura all'aria aperta nelle panchine.

Sono persone sradicate da tutto: migranti irregolari che vivono una vita perennemente in bilico; migranti che un lavoro lo avevano ma l'hanno perduto e non hanno più dove andare; gente locale che una contingenza familiare o / e il brutto momento che stiamo passando hanno sbattuto per strada.

Per noi, a Siena, sono poco meno che una novità (come testimoniano le segnalazioni a volte scandalizzate, a volte irritate, a volte angosciate che si leggono sui social). In realtà, questo è purtroppo un fenomeno che altre città conoscono da tempo in modo massiccio: portici, anfratti, portoni sono la “casa” di una popolazione di fantasmi, che (comprensibilmente) inquieta e turba il senso di una comunità la quale (come è logico) aspira ad una dimensione di regolarità, di ordine, di sicurezza. Ma chi si sia fatto un giro, non dico a Roma oa Milano, ma, per dire, a Bologna, ha visto che queste scene che per noi senesi sono meno consuete, lì sono la “normalità”.  Non si tratta, tanto, dei conosciuti “barboni” (i quali, per parte loro, non di rado, sono riottosi ad accettare il dormitorio pubblico perché sono ormai su un piano diverso di rapporto con la vita quotidiana e le sue condivise consuetudini e convenzioni ), quanto di gente che, nella normalità, non sarebbe diversa da noi; avrebbe una casa, una famiglia, un rapporto positivo con le regole della sociabilità. La differenza e la novità stanno proprio in questo.

Le abbiamo sentite le testimonianze raccolte dalla voce di questa gente: non hanno più un lavoro, sono sbandati rispetto alle loro famiglie, non riescono a trovare più nessun gancio al quale aggrapparsi per sopravvivere in maniera dignitosa. Dormono per le scale, si lavano nei bagni della stazione (o dove si trovano e se si trovano), non hanno possibilità materiale di prendersi cura della loro persona e della loro igiene (e quindi della loro dignità). In una società come la nostra, in quale gli animali che abbiamo in casa sono iper-coccolati e iper-accuditi, hanno occupato il gradino che spettava agli animali nella società pre-opulenta. Solo che si sta parlando di esseri umani.

A questo punto sarebbe facile alzare la voce facendo appello alle istituzioni: se ne occupino loro. E certo che se ne devono occupare le istituzioni; e chi sennò? Se ne occupino gli enti di assistenza. E certo; e chi sennò? Ma non possiamo fermarci qui alla (giusta e legittima) richiesta da buoni cittadini che chi ha titolo a farlo si attivi. Anche perché niente e nessuno ci dice che questo non si avvenga già (possibilmente, però, riflettendo anche sul fatto che in tempi di pandemia tutto ciò presenta criticità più ampie che in passato e che quando anche l'organizzazione come la Caritas ha dovuto adottare severe regole anti-contagio tutto si è ulteriormente complicato).

Ma questo è solo uno dei punti della questione: magari il più importante, ma non il solo importante.

L'altro è la riflessione che ciascuno di noi è convocato a fare di fronte a questo fenomeno, per Siena nuovo. Perché il timore è che, di fronte a queste cose, scatti la reazione isterica della paura con i danni che essa sempre porta con sé.

Queste persone non sono mostri; non sono da considerare potenziali delinquenti (ce ne saranno anche e ne dobbiamo tener conto, ma se ci focalizziamo solo su questo punto e lo assumiamo come fondamentale ci infiliamo in un vicolo mentale cieco). Sono gente che ha bisogno di aiuto e la città (complessivamente intesa) deve essere pronta a darglielo. Questo non si chiama “buonismo” (il termine è cretino, ma bolla bene un atteggiamento “molle” che, in ultima analisi, rifiuta di elaborare valori, categorie, decisioni e scelte, e che, per questo, finisce per fare più danni della grandine), si chiama senso civico, e il senso civico è quello che fa fare i conti con situazioni scomode e inquietanti non esorcizzandole, ma conoscendole, analizzandole e riflettendoci prendendone coscienza,