Quando cominciò il Covid-19, chiesero a un mio amico medico che cosa si dovesse fare per ridurre al massimo i rischi, e la risposta, bilanciata fra buonsenso e popolana irriverenza, fu “Prudenza e tocchiamoci il c**o!”.

Ecco: la lapidaria locuzione mi sta ronzando nelle orecchie ora che, finita la stagione vacanziera, ci si appresta a rientrare nella normalità delle attività e, quindi, delle occasioni di contatto/contagio. Si legge e si sente che si teme un “ritorno” del virus: per la verità non ci sarà nessun “ritorno”, perché il Covid-19 non se n’è mai andato. Semmai c’è il rischio di un ritorno a serie situazioni di criticità (già si riparla di “zone rosse”) e la prima che ci si prospetta, in uno scenario inquietante, è quella che può  verificarsi, fra pochi giorni, con la riapertura delle scuole (mentre siamo già in pieno caos fai-da-te per i corsi di recupero), un evento che è in grado di scatenare la tempesta perfetta.

Nessuno si aspettava che nei pochi mesi intercorsi fra la fine dell’anno scolastico e la ripresa ci potesse essere chi, dotato di bacchetta magica, fosse in grado di escogitare la soluzione ottimale, ma dobbiamo anche prendere atto, senza nessuna volontà di polemica strumentale, che in questi (pochi, è vero) mesi, a livello nazionale, più che impegnarsi per soluzioni strutturali, si è pestata parecchia acqua nel mortaio, si son fatte più chiacchiere che fatti e, anche nel campo delle sole chiacchiere, si è detto tutto e il contrario di tutto (fra non avere bacchette magiche e navigare a vista e a lume di naso ci sarebbe, a dire il vero, tutta una gamma intermedia di possibili metodologie di intervento). La soluzione più radicale è sembrata, così, quella pittoresca buffonata dei banchi a rotelle da torneo di banco-scontro di classe (ce l’avessimo avuti quelli della mia generazione! che ganzata! e chi sarebbe più andato a casa, anche dopo il suono della campanella!), ma i nodi principali sono lì, tutti irrisolti a pochi giorni dall’inizio delle lezioni.

Mentre scrivo queste righe (domenica 30 agosto) leggo che nella nostra provincia si sta procedendo con buon ritmo all’effettuazione dei test sul personale scolastico (circa 3000 a oggi), ma non per questo i nostri ragazzi che si apprestano a rientrare in classe e le loro famiglie possono dormire sonni tranquilli.

Resta ancora non definito il criterio di sicurezza per l’uso dei mezzi di trasporto scolastici. Dopo che il Ministero ha partorito quell’esilarante artificio retorico/linguistico del “gruppo abituale” e dopo che si è sentito dire che una permanenza di 15 minuti in un autobus ha un basso rischio di contagio (ma chi c’è a dirigere i dicasteri? Franz Kafka? Tommaso Marinetti? George Orwell? Charlie Chaplin? chi altro?), siamo ancora qui che ci chiediamo in quali situazioni di sicurezza saranno portati a scuola i ragazzi, e non siamo per niente rassicurati quando leggiamo (sempre in data odierna) le preoccupate considerazioni, anche in merito al quadro locale, delle tre sigle sindacali CGIL, CISL e UIL. Così come non ci rassicurano le loro riserve quando denunciano “la mancata costituzione da parte dell’Ufficio Scolastico di Siena di un coordinamento con i dirigenti scolastici, l’ASL e le organizzazioni di rappresentanza e tutela dei lavoratori”. I problemi generali, infatti, hanno ovviamente anche il loro rebound locale e nemmeno Siena, pertanto, è immune dai grossi nodi critici che, anziché essere sciolti, sono stati ingarbugliati ancora di più. Serve personale, ma si lascia a casa la fascia dei precari “storici” (in compenso si è sentito proporre, sempre dal Ministero che, più che “all’Istruzione”, dovrebbe, forse più opportunamente, intitolarsi “alla Fantasia”, di far fare lezione a studenti non ancora laureati) che giustamente si mobilitano rivendicando il loro ruolo di “soluzione” al problema stesso; serve un serio progetto di gestione del personale  “fragile”, quello che non può essere disinvoltamente mandato in prima linea (un migliaio di persone, nella sola Toscana), ma su questo versante siamo ancora in altissimo mare e, anzi, già si rischia di affogare nel frustrante e sterile “gurgite vasto” delle polemiche, delle furbate, delle ripicche, dei cavilli burocratici, in un ennesimo scenario da teatro dell’assurdo (ve lo ricordate Tito Livio? Ce l’insegnavano al Liceo: “dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”, mentre a Roma ci si perde in chiacchiere, Annibale espugna Sagunto. Ecco: conforme all’oggi).

Che succede se, disgraziatamente, si verifica un caso di contagio in classe? Si decreta la quarantena, sentenzia sicuro, ancora una volta, il Ministero. Giusto (a parte che mi domando se, in questo caso, si coinvolge nelle misure di profilassi anche il “gruppo abituale”. Se la risposta è sì tanto vale dire che si mette in quarantena una scuola intera: ci sono le parole, usiamole, dice De Filippo in “Ditegli sempre di sì”); giusto, dicevo, ma, anche in questa ipotesi, le famiglie che si fa? gli si dice “arrangiatevi” e si lasciano da sole a gestire l’emergenza? Bisogna elaborare strumenti di tutela e garanzia per loro, ha detto il Ministero. Sì, ma finora siamo al “bisogna” e basta, mentre la prima campanella suonerà fra pochi giorni e le simulazioni su come gestire eventuali casi del genere sono ancora al livello di chiacchiere da bar.

Si ricomincia dappertutto poco meno che al buio, insomma. E temo che la considerazione del mio amico medico abbia, purtroppo, ancora una sua vigenza: “Prudenza e tocchiamoci il c**o!”.

Purché ognuno tocchi il suo, sennò, poi, ci son le discussioni.