Sono giorni di domande e di inquietudini. Abbiamo cominciato con quelle che sentiamo subito sulla pelle, legate alla sorte del nostro Palio, delle nostre Contrade, della nostra memoria identitaria. Ed era fisiologicamente logico che fosse così.

Ora cominciano ad affacciarsi domande e inquietudini anche più profonde (che poi, alla fine, ricomprendono inevitabilmente anche quelle appena ricordate): sono le domande legate alla considerazione (talmente ovvia da essere diventata stucchevolmente luogo comune e che uso con il disgusto che mi provocano tutti i luoghi comuni, ma devo pur usarla) che niente sarà più come prima.

In tutti i campi e in tutti i settori.

Quando il presidente dell’ANCI Toscana (il coordinamento dei Comuni) dichiara che, in questi mesi, è triplicato (ripeto: triplicato) il numero dei poveri nella nostra regione e che le amministrazioni locali non sanno più come fare a tamponare una falla che è superiore alle loro possibilità; quando si leggono dichiarazioni del genere, dicevo, siamo per forza convocati a chiederci in quale città vivremo, nei prossimi tempi. Quale Siena sarà quella che emergerà (anch’essa con dei lividi) dalla botta ricevuta e della quale, ancora, a caldo, non riusciamo a valutare nella sua reale portata?

Ci occorrono dati reali della situazione; ci occorre di sapere quale è già ora il quadro del possibile disagio e, altrettanto, quali sono le possibili prospezioni e prospettive.

Questa è una città che presenta un sistema produttivo ben chiaro: una parte cospicua di cittadini vive del settore dei servizi; un’altra parte, altrettanto significativa, vive su quella che è una risorsa altrettanto determinante, cioè il  turismo e l’indotto che esso produce: ospitalità, ristorazione, servizi al turista e così via. Che cosa significa, in questi settori, “riaprire”? Quali prospettive è necessario delineare per  costruire una strategia di futuro modello di sviluppo che non si accontenti di escogitare risposte alle contingenze via via che si presentano?

E’ l’occasione (restando, per fare un esempio, nel settore appena evocato) per non aspettare che ricominci (quando ricomincerà) il detestato (ma alla fin fine, a modo suo, anche redditizio) turismo mordi-e-fuggi, quello che intasa le strade e fa vedere Siena in due ore a carovane di gitanti distratti, più interessati a far selfie  col telefonino che a capire a che cosa si trovano davanti; più interessati a comprare chincaglieria kitsch che a capire lo spirito di una città. Quel turismo orripilante non piaceva e non deve piacere, ma occorre capire come ri-definirlo e ripensarlo fuori dagli slogan vuoti. Facciamo chiarezza (chiarezza vera) su ciò che intendiamo per “turismo di qualità” e, soprattutto, chiariamoci le idee su come rendere creatore di ricchezza il “turismo di qualità”. Se ci immaginiamo torpedoni di Goethe e di  Stendhal, siamo fuori dalla realtà. Ecco il punto: come si rende “reale” e produttivo l’anello intermedio fra i Goethe (che non ci sono in maniera diffusa) e gli adepti del turismo usa e getta (che, se non ci saranno più, nessuno se ne farà un cruccio)?

C’è bisogno di riflettere, confrontarci, cercare strategie e non tattiche, elaborare idee di sviluppo non estemporanee ma a medio-lungo termine. L’alternativa è vivere alla giornata e aspettare di prendere quel che verrà, anche se quel che verrà non è ciò che vogliamo per il bene di questa comunità sociale che è la nostra città e che non può essere lasciata inerme ad aspettare lo tsunami.

Quando dico confrontarci, intendo confrontarci e riflettere collettivamente e non ciascuno per proprio conto: enti locali, associazioni, parti sociali, istituzioni, terzo settore, imprese e quant’altro. E, certo, anche Contrade, perché loro sono le cellule base  dell’aggregazione e del mantenimento di una cultura civica. Perché è solo così che si potrà cercare di parare il colpo. Che ci sarà. E, purtroppo, un po’ male, inevitabilmente, lo farà.