Il periodo del domicilio coatto ci ha fatto capire diverse cose (ah: la più importante è che dopo la ripresa niente sarà come prima; da nessun punto di vista, ma questa è un’altra questione e ne parleremo eventualmente in una prossima occasione). E fra le cose che ci ha fatto capire c’è la constatazione che la prima reazione registrata a livello di comunità è stata quella di “raccontarci” chi siamo; di cercare condivise conferme della nostra identità.

Lo hanno fatto le Contrade, non solo (e la cosa era, dal punto di vista funzionale la più importante) offrendo  collaborazione e aiuto ai soggetti più fragili, ma proprio inventandosi uno spazio  che, sfruttando le possibilità della tecnologia informatica, mettesse in contatto fra sé tutto il virtuale corpo della Contrada stessa. Il web si è arricchito di siti, gruppi, mini-archivi, blog e quant’altro,  nei quali si è riversata la sociabilità che l’epidemia aveva castrato. E in quelle sedi si è letto e visto di tutto: semplici messaggi, filmati, fotografie, ricordi; c’era chi ricordava un Palio o un episodio, chi, ritrovata una vecchia foto, la metteva on  line commentandola e chiedendo agli altri di commentarla. Una sorta di veglia-2.0.

In poche parole: la risposta della collettività senese ha fatto perno sul suo elemento identitario più forte per ricostituire un rione virtuale. Quello che, inevitabilmente, non c’è più (né può esserci più, ma che i suoi lati virtuosi ce li aveva, accanto a quelli perniciosamente pettegoli e ficcanasisti, ma erano due facce della stessa immagine); in cui ci si incrociava sull’uscio di casa o all’angolo della strada e ci si poteva prendere il lusso di truffare, per un minuto, il ritmo “fordiano” impresso ai nostri tempi di comportamento relazionale, per intrattenerci, scandalosamente e improduttivamente, a fare due chiacchiere oziose. Quelle che ci fanno impiegare una frazione minuscola del nostro tempo (orrore! sottratto alla produttività) per ricordare il Palio che vincemmo nel tale anno; il  personaggio che conoscemmo e che non c’è più; la volta che…; il luogo in cui… . Ciarle che non servono a niente, se non a una cosa sola: a sentirci esseri umani e a capire che vivere non è equivalente a produrre certificati di esistenza in vita. Ciò che si è verificato non ha sostituito, né può sostituire, la sociabilità fatta di contatto fisico, ma ha dimostrato che può aiutare nelle contingenze in cui essa sia forzosamente messa in stand by.

Non so intorno a quale elemento sociale, storico, culturale e memoriale ciò sia avvenuto nelle altre città e nelle altre comunità. Qui è avvenuto intorno all’elemento Contrada. Forse era inevitabile, forse no. Lo consideriamo inevitabile perché c’è sempre stato e diamo per scontato che ci sarà sempre. Errore: ciò che ci è successo in un momento di “catastrofe” (individuale e comunitaria) come questa ci ha dimostrato – che ne siamo coscienti o meno - esattamente il contrario. Che questo collante sociale è sempre valido, ma non perché lo è di per sé, bensì perché, volta per volta, avvertiamo la necessità di rinnovarlo, rimodellandolo sul respiro della storia.