La posso prendere alla larga o passate subito oltre? Posso?

Allora: che cosa è un abbraccio. Sì, come si dà e come si riceve lo sappiamo tutti. Ma di quale sia l’indotto chimico e psicologico abbiamo consapevolezza? L’abbraccio è un gesto del linguaggio non verbale, in cui il contatto (quando non è una toccata e fuga di due secondi, ma un contatto più prolungato) agisce a livello cutaneo (anche se avviene in modo “vestito”, non necessariamente pelle-a-pelle). E la cute è un recettore che aziona aree cerebrali attraverso la fibra amielinica, generando nel cervello stimolazioni emotive positive grazie alla produzione di ossitocina. L’ossitocina è una sostanza che rende più forte il sistema immunitario e aiuta a ridurre lo stress. Un abbraccio ha, dunque, un potere calmante, ansiolitico, che dà sicurezza perché trasmette comunanza di sensazioni affettive.

Ok: fine della spiegazione da rivista divulgativa (e magari ho anche detto qualche bischerata e qualche addetto ai lavori mi bacchetterà. Amen).

Bene: ora provate a pensare a tutta la gestualità contradaiola-paliesca e provate a immaginarla “a distanza di sicurezza”. Nessun abbraccio. Nemmeno quello cosiddetto “laterale” che è sostanzialmente il mettere il braccio sulla spalla dell’amico. Lo avete notato? Quando si canta insieme è frequente farlo, perché la coralità della voce vuole avere il suo linguaggio non verbale nella costruzione di una coralità fisica, fatta appunto, magari, di un semplice braccio sulla spalla.

Provate a pensare a una situazione contradaiola-paliesca in cui non ci si tocca. Non ci abbraccia. Sei lì che aspetti che il sindaco apra la ghiandina che ti condanna a un cavallo troiaio o che ti sta per assegnare il “bombolone”. E sei a un metro e ottanta di distanza; non puoi nemmeno aggrapparti al braccio dell’amico accanto, come si fa per chiedere e dare coraggio. Il sindaco ha letto la sentenza. E non puoi saltare urlando perché è andata bene e abbracciare gli altri intorno a te col tuo stesso fazzoletto al collo. E nemmeno abbassare la testa e abbracciarli sconsolato perché è andata male. Niente. Sei chiuso in un’onanistica solitudine di emozioni gestuali.

E provate a pensare di andare dietro al cavallo quando si va in Piazza. Sgranati in fila indiana a un metro di distanza? O al massimo in tre per ogni fila? E che cosa succede quand’è esploso il mortaretto del terzo giro? Hai vinto. Ti sei purgato. E non ci può essere contatto con nessuno; condivisione fisico-psicologica con nessuno. Niente ossitocina. Arrangiati. O passa da farmacia a fartene dare in forma di combinazione chimica.

Ecco il punto. Contrada, Palio, sono prima di tutto contatto. Sono “corpo”. Alla domanda “che cosa è il Palio?” potete rispondere “è prima di tutto corpo” (chissà se Foucault avesse conosciuto il Palio che cosa ne avrebbe detto?) perché è attraverso il contatto corporeo che si crea senso di comunanza, di condivisione, di affetto condiviso, di memoria condivisa, di emozione condivisa. Con un semplice abbraccio.

Tutto questo per dire che cosa? Per dire che finché il corpo non potrà essere rimesso al centro dell’essenza comunità di Contrada, essere Contrada, essere contradaiolo, non avrà senso parlare di Palio. Non sarebbe Palio; non sarebbe Contrada. Sarebbe un videogame di apparenza reale, ma privo dell’anima. Grazie no: c’è un limite alla tollerabilità dei succedanei.

 (Foto Giulia Brogi)